Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2019
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Biografia di Enrico Preziosi
Un percorso accidentato. Che, dopo diversi progetti di quotazione più volte abbozzati, si perfeziona ora con l’approdo in Borsa della Giochi Preziosi. Una identificazione molto forte – se non totale – fra l’imprenditore e le sue imprese. Che – nel bene e nel male – sono state favorite e condizionate, plasmate e alimentate dall’energia pirotecnica e dalla personalità tracimante di Enrico Preziosi, amplificata dal calcio e dal suo circo mediatico. Una vita, la sua, da baby boomer della piccola impresa, fattasi media fino all’attuale mezzo miliardo di euro di ricavi e che, ora, con la Borsa prova a diventare adulta.
Preziosi, classe 1948, nasce ad Avellino da un orefice e da una maestra delle elementari. La sua traiettoria è da esponente di una generazione che trova nella modernizzazione del Paese degli anni ’60 le energie e le opportunità per costruirsi un destino diverso da quello assegnatole dalla vita. Nel 1965 emigra a Milano, dove lavora alla Perfetti e alla Philips come venditore di elettrodomestici. Nel 1977 diventa grossista di giocattoli. Nel 1978, a Baruccana di Seveso fonda la Giochi Preziosi. La sua storia è simile a quella di mille altri imprenditori italiani che con il fiuto e la dedizione hanno fatto dell’Italia – negli anni ’70 – la seconda manifattura europea. Sempre in salita. Con il vento in faccia. E con gli anni ’80 quali detonatori della loro crescita: gli investimenti pubblicitari sulle televisioni private fanno bene ai ricavi e i jingle degli spot diventano una delle colonne sonore delle serate degli italiani. Un connubio fra industria, mercato e Tv che fanno stringere a Preziosi un rapporto con Silvio Berlusconi. Fra il 1988 e il 1994 il fatturato dell’azienda di Cogliate aumenta di sei volte, fino ad avere un valore consolidato di circa 500 miliardi di lire. Il modello industriale è snello: la produzione a terzisti; l’ideazione dei giochi, la commercializzazione e la distribuzione in casa. La crescita è anche per linee esterne. Preziosi compra una serie di aziende. Nei suoi diversi snodi, l’architettura societaria del gruppo ha bisogno di partnership e capitali. Perfino Gemina, nel 1994, ne diventa socia. Quattro anni prima la Standa ha fatto lo stesso e, nel 1995, l’Antitrust dà il via libera alla creazione di una vera e propria holding dei giochi fra le aziende di Preziosi e di Berlusconi. Nel 1998, la prima ipotesi di quotazione in Borsa. Con equilibri diversi, entreranno i fondi di private equity: nel 2005 3i e, nel 2008, Clessidra.
Con l’inizio della Grande Crisi, cambia tutto e insieme non cambia nulla. Molti successi, in particolare se confrontati al punto di partenza. Qualche caduta. E una popolarità resa esagerata – quasi eccessiva – dallo specchio deformante del calcio visto, presidiato e vissuto con una notevole esposizione televisiva. Il Genoa (acquistato nel 2003) – e prima il Saronno (nel 1993) e il Como (nel 1997) – sono giocattoli di Preziosi. Giocattoli che hanno dato all’imprenditore quello che il calcio – prima dell’attuale managerializzazione – ha dato a molti proprietari di squadre: visibilità, contatti, rapporti privilegiati. Più qualche grossa grana giudiziaria (per esempio nel 2005, per il fallimento del Como, finisce agli arresti domiciliari).
Anche questo, un classico dell’imprenditoria italiana fra pallone, tv e realtà. Un disordine vitale che, in qualche misura, le regole del mercato – la governance imposta da Piazza Affari, richiesta dalle banche di investimento e pretesa dagli azionisti istituzionali – potrebbero riportare a razionalità con la quotazione della Giochi Preziosi: l’apertura di gioco più importante.