La Stampa, 31 gennaio 2019
Caccia ai segreti del diamante
I diamanti sono i migliori amici di una ragazza, cantava Marilyn Monroe in Gli uomini preferiscono le bionde, teorizzando che fossero ben più affidabili dell’amore. Chissà come si sarebbe sentita a casa alla «Bursa» di Tel Aviv, il più grande mercato di diamanti del mondo. Determinati a trattare il miglior prezzo, oltre 350 acquirenti da trenta diverse nazioni si sono dati appuntamento in questi giorni a Ramat Gan, a pochi minuti dal centro cittadino, per l’annuale settimana internazionale dei diamanti. Sul più grande palcoscenico commerciale del mondo espongono 150 aziende israeliane, pronte a presentare le più belle pietre sfuse e gioielli con diamanti. È stata inaugurata la sala per le aste, con tanto di «berachà» (benedizione) recitata sulla «mezuzah» (letteralmente lo stipite della porta e per estensione l’oggetto rituale ebraico che contiene la pergamena con i passi della Torah). Ad aprile una società giapponese terrà la prima asta nella storia dell’Israel Diamond Exchange. C’è anche chi ha partecipato al primo «tender», la gara organizzata dalla Borsa israeliana e gestita da Koin International. A differenza di un’asta, dove gli acquirenti rilanciano in tempo reale offerte sempre più alte, un «tender» si svolge entro una finestra temporale prestabilita in cui i compratori possono visionare le pietre e presentare un’offerta economica, senza conoscere quelle dei concorrenti. Alla scadenza della gara, il lotto sarà assegnato al miglior offerente.
Vendite in crescita
«Dopo anni molto impegnativi abbiamo iniziato a vedere i primi segnali di ripresa e siamo cautamente ottimisti per il futuro», dice Yoram Dvash, il Presidente dell’Ide. Secondo i dati del Dipartimento per i diamanti, le pietre preziose e i gioielli del ministero dell’Economia, per la prima volta dal 2011, l’anno scorso il mercato israeliano si è stabilizzato e le esportazioni dei diamanti grezzi hanno ripreso a crescere, sebbene di appena l’1,1%, su un volume totale di 4,48 miliardi di dollari tra export di pietre grezze e lavorate. «Sono molto contento che il calo delle esportazioni si sia interrotto – ha commentato Dvash – e che il 2019 si prospetti un anno migliore».
La responsabilità del tracollo degli anni passati va attribuita in parte a una serie di leggi piuttosto rigide imposte dal governo locale che ha portato gli operatori a spostarsi altrove nella regione, in particolare a Dubai dove le norme sono meno punitive. Nel 2018 il ministero dell’Economia è corso ai ripari lanciando un piano per sostenere l’industria israeliana dei diamanti, con un investimento in marketing di 3 milioni di shekel (oltre 700 mila euro) per promuovere le esportazioni e ha allentato alcune politiche di regolamentazione. Tra compratori indiani, cinesi e russi, ci sono anche una ventina di italiani.
Il gioielliere
Ciro Paolillo è titolare di un’azienda a Roma con alle spalle 160 anni di storia. «Il mio bisnonno era gioielliere dei Borboni. Io sono la quarta generazione». Oltre a commerciare in preziosi, Paolillo è consulente per i reperti archeologici dei Musei Vaticani e ha condotto lo studio del Tesoro di San Gennaro. Insegna anche gemmologia investigativa all’università La Sapienza di Roma: «Partendo dalle inclusioni interne delle pietre riusciamo a scoprirne tutta la storia: la provenienza, da quale miniera vengono, quale strade hanno percorso».
Dalla cattedra di Roma, Paolillo porta avanti la stessa missione che in Israele è affidata al «Diamond Journey», tecnologia di ultima generazione basata su intelligenza artificiale e machine learning, brevettata e ultra-protetta al 32° piano della Borsa da Sarine, ex start-up oggi multinazionale. La nuovissima soluzione introdotta da Sarine – di cui le maggiori aziende, come Tiffany, si sono già dotate, testimonial d’eccellenza Lady Gaga alla serata dei Golden Globe con al collo un’Aurora Necklace da 300 diamanti a goccia di «provenienza sostenibile» – lascia una sorta di impronta digitale sulla pietra. Questo la rende tracciabile ancor meglio del Kimberly Process, la certificazione frutto dell’impegno congiunto di governi, multinazionali produttrici di diamanti e società civile, che dal 2000 garantisce la trasparenza del mercato internazionale per evitare i cosiddetti «diamanti insanguinati» diventati famosi al grande pubblico grazie al thriller del 2006 con Leonardo Di Caprio ambientato in Sierra Leone.
Le tendenze
Girando tra gli espositori si possono individuare alcune tendenze in crescita, come l’utilizzo dei diamanti grezzi in gioielleria nelle diverse sfumature naturali di bianco, blu, verde, giallo e arancione. Secondo Sasy Sahar, che auspica collaborazioni con designer che sappiano creare pezzi unici, opere d’arte, per donne speciali, la potenza del diamante grezzo è di esser «bello come Dio l’ha fatto». Se in America e in Cina va tantissimo il lavorato «fancy color» e si cerca fantasia nelle forme (come il diamante tagliato a testa di cavallo proposto da Dayagi) in Italia vince il classico intramontabile brillante.
Negli anelli il diamante diventa sempre più spesso un’alternativa alla montatura ed è utilizzato come «side stone» a reggere un’altra pietra preziosa. Sul tema dei diamanti sintetici, acquirenti e commercianti si schierano all’unisono. Secondo Y. S. Moses «l’impatto è psicologico. La qualità è elevata ma nessuno sa prevedere il suo andamento commerciale nel futuro. All’acquisto puoi risparmiare fino al 50% ma il diamante naturale rimane l’investimento più sicuro». Un investimento da godersi e indossare ogni giorno.