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 2019  gennaio 31 Giovedì calendario

L’Egitto a caccia dei cani randagi: «Impuri»

Da alcuni mesi le autorità del Cairo sono ossessionate dai cani randagi. Testuale. E non è una metafora da riferire all’ex dittatore libico Gheddafi, che con questa espressione appellava i suoi oppositori politici in esilio. I vagabondi a quattro zampe sono un vecchio problema della capitale egiziana, in cui vivono oltre 20 milioni di abitanti, ma secondo il giornale governativo «El-Bawaba» il loro numero è lievitato negli ultimi tempi fino a diventare un problema per la sicurezza cittadina. I dati aggiornati del ministero dell’Agricoltura parlano di circa 400 mila aggressioni l’anno e di 231 persone morte dal 2014 ad oggi per i morsi e il contagio della rabbia.
«È la spazzatura a motivare la presenza di tanti cani di strada, un guaio amplificatosi dopo il caos seguito alle proteste del 2011» spiega Shehab Abdel-Hamid, capo della Spca, l’associazione statale a tutela degli animali che solo al Cairo ne ha contati 15 milioni. 
Il tema è serio e sentito, anche perché, tradizionalmente, i musulmani non amano granché i cani. Anzi. Proprio ieri, per dire, la polizia di Teheran ha annunciato il divieto di portarli a spasso per la strada celando dietro vaghe motivazioni igieniche il biasimo per quella che gli ultraconservatori considerano una esecrabile moda occidentale. D’altra parte in Egitto la fobia della rabbia, che in arabo si dice kalab da kalb (cane) e che nel saggio «The Animal in Ottoman Egypt» lo storico di Yale Alan Mikhail fa risalire al propagarsi delle prime epidemie, era diffusa già nel 1800, quando il viceré Mohamed ’Ali usava caricare i randagi troppo prolifici su delle speciali navi per affogarli al largo di Alessandria. Oggi, mutatis mutandis, il governatorato del Mar Rosso offre ricompense da ben 6 dollari per chi cattura almeno 5 esemplari mentre la polizia del Cairo organizza ronde come quella che nel 2017, dopo molteplici segnalazioni degli abitanti del quartiere Sud Beni Sueif, terminò con l’eliminazione di 17 mila randagi.
«Ci stiamo imbarbarendo, la violenza repressa che si sfoga sempre più spesso su donne e bambini colpisce con ferocia i cani, da almeno dieci anni la gente è autorizzata a sparare in strada ai randagi ma adesso è peggio, la città è stata riempita di polpette con un veleno che ammazza lentamente e lascia gli animali lì agonizzanti per ore» ci dice al telefono dal Cairo Souaf, architetto per professione e membro dell’associazione non governativa per la difesa degli animali «Efma», una delle tante che, catalizzatrici di un attivismo tollerato dal regime perché ufficialmente non politico, si stanno moltiplicando in questi mesi nella capitale. Possono fare poco in termini di gestione di strutture tipo canili, perché si finanziano con donazioni private e non ne arrivano molte per questa causa. A novembre però, con una campagna tempestiva su Facebook, «Efma» ed altre ong simili sono riuscite a bloccare il progetto di esportare 4100 cani randagi in Corea del Sud, dove sarebbero finiti sulle tavole di grandi hotel e ristoranti. L’alternativa adesso è sterilizzarli. 
In realtà, sebbene considerato genericamente impuro dai musulmani ma anche dai convertiti all’islam che, come racconta Stefano Allievi nel saggio «Nuovi Musulmani», per devozione rinunciano a barboncini e pastori tedeschi adorati magari fino a poco prima, il cane è sempre stato in qualche modo tollerato nel mondo arabo per la sua devozione al padrone. Solo che, quando le condizioni soprattutto economiche cambiano in peggio, il randagio diventa il più accessibile dei pungiball. 
Così nell’Egitto che fatica a risollevarsi dalla spirale di rivolgimenti politici messa in moto dalla rivoluzione del 2011 e comprime la frustrazione sociale per il carovita nella routine difficile di una popolazione il cui 50% vive al di sotto dei 2 dollari al giorno, i cani di strada scatenano l’irrazionale. C’è anche una leggenda urbana che li identifica come salaawa, una bestia maligna nata dall’incrocio con i lupi contro cui l’accanimento sarebbe addirittura legittimo. 
Una buona notizia per i cani viene dai giovani, pare che tra i volontari di «Efma» ci siano diversi studenti di veterinaria, una facoltà in espansione.