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 2019  gennaio 31 Giovedì calendario

Intervista a Vijay Amritraj


Domani inizia la nuova Coppa Davis. 24 nazioni si giocano il passaggio alla fase finale di novembre a Madrid. Questo turno preliminare si gioca al meglio dei tre set, non cinque. L’Italia è a Calcutta, in India. L’unico precedente nel 1985, nello stesso impianto, dove l’India ci superò (3-2), grazie ai trionfi in campo e alla saggezza fuori di Vijay Amritraj, mito del tennis indiano, che ancora ricorda i match al quinto set di 34 anni fa contro Cancellotti e Claudio Panatta.

Vive da anni in California. A Van Nuys, dopo la prima corona di colline che protegge Hollywood. E anche per questo c’è un motivo: Hollywood (non Bollywood) un giorno entrò nella sua vita. Vijay Amritraj è una leggenda. Quando si sveglia al mattino è una leggenda che si sveglia, quando prende la macchina è una leggenda che prende la macchina, quando racconta di sé è una leggenda che racconta del suo tennis da gesti bianchi e di tutto ciò gli ruotava attorno («a cominciare dai miei grandi amici Adriano Panatta e Vittorio Selmi»).
Ha vinto 16 tornei da singolarista, 13 in doppio. Più trofei di tutti gli altri tennisti asiatici messi insieme. Era elegante e galante con la racchetta almeno quanto lo è oggi con le parole. Vijay detesta le accelerazioni del sistema, ammira chi fa battute spiritose, magari un po’ datate, alla Walter Matthau, e malgrado siano passati più di 50 anni sente che c’è ancora qualcosa di moderno e di vero nella parodia "indiana" di Peter Sellers (Hollywood party): «Siamo un po’ con la testa fra le nuvole. E il tennis da noi era molto estetizzante».
L’arte per l’arte e il tennis per il tennis.
«A volte avevamo la sensazione che per il pubblico indiano contasse di più il gesto del risultato».
Ma a parte Connors, Rosewall e lei, ci si ritirava assai presto...
«Perché il tennis non era tutto per molti di noi e perché fisicamente non eravamo Djokovic, anche se io ero un cristone di 1,93. Il mio ultimo Wimbledon fu quello del ’90, poi ridussi gli impegni».
Era un gioiello del tennis, brillava, a vederla sembrava tutto facile...
« Non sempre. Per esempio quelle due partite vinte al quinto set in Coppa Davis nell’ 85 contro Cancellotti e Claudio Panatta, benché sull’erba, furono toste: quella con Claudio la vinsi addirittura il giorno dopo. Lì c’era poco da andare di fioretto.
Ho sempre pensato di giocare meglio in Davis ( l’India è giunta in finale nell’ 84 e nell’ 87, ndr).
Ed ero anche capitano/ giocatore... » .
Giocaste a Calcutta (ora Kolkata), nello stesso posto in cui si giocherà da domani.
«Era la coda della mia carriera, mio figlio aveva già un anno e mezzo e con le priorità che apparivano fuori dal campo giocare diventava più difficile. Giocavo singolari e doppi ovunque, ogni settimana. Adesso i miei 65 anni li sento meno. Non è un paradosso. Per me ogni giorno è un giorno perfetto. Oggi compreso».
Ha fatto la storia del tennis. È diventato uno degli indiani più
famosi del mondo.
«Sto ancora dentro il movie business, faccio consulenze. E sono sempre tanto legato all’Italia: vorrei vedere meglio le chiese di Roma. E il mio primo contratto da professionista, nel ’74, lo firmai con la Marlboro Leisure Wear di De Adamich. Adoro venire in Italia.
Quando ero single pensavo anche alle ragazze, da sposato solo al resto...».
E poi quelle partite/esibizione in Italia con Adriano e Nastase.
«Ma già nel ’90 il tennis era un’altra cosa. Diciamo che ogni 10 anni il
tennis cambia pelle. Completamente».
Ma cos’è accaduto al tennis indiano?
«Ci sono molte più opportunità per emergere oggi, soldi, strutture, cultura tecnica. Forse manca l’impegno e la volontà dei giocatori giovani. Fisicamente gli indiani maturano tardi. Magari manca anche la pazienza».
Come finì dentro Octopussy di James Bond (e poi anche in Star Trek IV)?
«Mi scelsero a Wimbledon l’anno prima. Quante cene con Roger Moore. Con lui sono rimasto in contatto perché eravamo ambasciatori per l’Onu di Kofi Annan insieme con Hepburn».
Lei era l’agente indiano dell’MI6. E muore per la causa...
«Quattordici settimane di lavoro per farsi segare in due dalla lama rotante! Mi sento fortunato: sono stato un tennista attore...».