la Repubblica, 31 gennaio 2019
Il grande incendio californiano brucia anche il colosso elettrico
Pali della luce e trasmettitori elettrici vecchi di decenni, negligenze nelle riparazioni, perfino rapporti d’ispezione falsificati. A finire “bruciato” dagli incendi della California c’è anche il maggior fornitore d’energia elettrica dello stato. Quella Pacific Gas and Electric Company su cui tutti hanno puntato il dito quando a fine novembre è stato finalmente domato l’inferno di Camp Fire, l’incendio peggiore della storia d’America. Durato 17 giorni e che ha ucciso 86 persone, devastato 600 chilometri quadrati di territorio, distrutto 18.800 edifici, provocando danni per almeno 16,5 miliardi di dollari.
A innescare l’incendio, infatti potrebbe essere stato proprio un pilone difettoso di PG&E: azienda che d’altronde ha una lunga storia di negligenze e incidenti alle spalle. E anche se le indagini non sono in realtà ancora concluse il rischio di dover pagare miliardi di danni aveva già fatto crollare le azioni del colosso californiano dell’energia scese del 72 % da prima degli incendi. Andare avanti era un rischio troppo alto e martedì la società ha preferito proteggersi dichiarando bancarotta. Seguendo però la formula del Capitolo 11, che in America è una sorta di garanzia per le società perché ne congela i capitali ma permette di continuare a fornire servizio al riparo dai creditori. Almeno fino a quando non sarà stabilito – o ristrutturato – il debito.
Ma cosa c’entra un fornitore di energia elettrica sia pure grande e importante come PG&E con un incendio che tutti dicono essere colpa dei cambiamenti climatici, l’erba seccata da mesi di siccità incendiata dai lapilli trasportate dal vento? Gli investigatori ritengono che ad aver dato un aiutino a madre natura sia stato un pilone dell’alta tensione nei pressi di Paradise, la cittadina poi completamente rasa al suolo, gestito proprio da PG&E e vecchio di cent’anni. Risalente addirittura al 1920, piantato lì dalla Great Western Power che fu la prima compagnia a portare elettricità in California. Un elemento mal fissato avrebbe lasciato libero un cavo che, sbattendo contro il metallo della struttura, avrebbe provocato scintille che hanno rapidamente dato fuoco agli sterpi di una zona malcurata. Ma anche di quelli si sarebbe dovuta occupare la compagnia: e lo sapeva bene. Visto che già nel 1994 era stata condannata per “negligenza criminale” a causa di un altro incendio divampato in condizioni simili. E poi di nuovo nel 2010 dopo l’esplosione di un suo vetusto gasdotto che provocò 8 morti e 58 feriti. Non solo: anche gli incendi che devastarono la California furono attizzati da pali mal tenute, benché i giudici ne abbiano ridimensionato le colpe. «Non pretendiamo che controllino la Natura: solo le loro attrezzatture» attacca ora John Fiske, l’avvocato che rappresenta più di mille famiglie che hanno perduto tutto a causa dell’ultimo incendio e che la dichiarazione di bancarotta ha reso furiose: «Chi pagherà ora i danni?».
Temendo fra l’altro che al danno, appunto, si aggiunga la beffa: un aumento dei prezzi dei servizi erogati, visto che l’azienda ha chiesto alla California, che pure versa in stato di calamità, 5 miliardi in prestito per sopravvivere per i prossimi due anni. «L’aver dichiarato bancarotta è l’ennesimo esempio che PG&E fa solo per i propri interessi» ha tuonato Jerry Hill, senatore democratico di San Francisco.Ma intanto la California rischia di continuare a bruciare.