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 2019  gennaio 31 Giovedì calendario

Rotta sul Polo Sud a caccia della nave inghiottita dai ghiacci

La morsa del ghiaccio è la stessa, così come le coordinate nel temibile mare di Weddell, in Antartide. A 68 gradi di latitudine sud e 52 di longitudine ovest, dove la banchisa oltre un secolo fa stritolò la nave Endurance di Sir Ernest Shackleton, oggi si sta dirigendo la rompighiaccio Agulhas II. Gps, immagini quasi istantanee dell’evoluzione del ghiaccio ricevute dai satelliti, droni e sommergibili comandati a distanza fanno parte della dotazione di una delle navi per la ricerca scientifica polare più possenti di oggi. Nonostante questo, però, non è scontato che i ricercatori per lo più britannici della Agulhas, guidati dallo Scott Polar Research Institute di Cambridge, riusciranno a centrare l’obiettivo: individuare e filmare il relitto della nave di Shackleton, affondata nel mare di Weddell il 21 novembre 1915 dopo essere rimasta dieci mesi intrappolata nella banchisa di ghiaccio. I 28 uomini dell’equipaggio se la cavarono allora grazie all’abilità col sestante del timoniere Frank Worsley (fu lui a determinare le ultime coordinate, quando la Endurance venne risucchiata in un gorgo, ricoperto dal pack pochi istanti dopo), alla perizia come cacciatori di foche e alla forza delle loro braccia, che spinsero le scialuppe in salvo sulle isole dei mari del sud, battute dalle rotte delle navi baleniere.
La Agulhas, a condizione che il tempo non viri al peggio e che la banchisa non la stringa troppo forte fra le sue tenaglie, dovrebbe raggiungere il luogo del naufragio verso la fine di questa settimana, facendosi largo con (relativa) agilità, grazie alle sue 13.500 tonnellate di stazza, in 150 chilometri di mare ricoperto da due o tre metri di ghiaccio.
Arrivata nel punto registrato dal capitano Worsley, dovrebbe sguinzagliare in mare un sommergibile autonomo e iniziare a perlustrare il fondale con il sonar. Se troverà qualcosa, la nave calerà un secondo strumento munito di telecamera per riprendere le immagini dello scafo, probabilmente disintegrato dalla pressione di dieci mesi di pack e dalla caduta fino a 3mila metri di profondità. Il tre alberi di 44 metri, però, dovrebbe essere stato preservato – a quelle temperature – dall’azione degli organismi marini che degradano il legno. L’archeologo sottomarino della spedizione è quel Mensun Bound, 65 anni, nativo delle Falkland, che nella sua carriera ha ripescato decine di navi etrusche attorno al Giglio e romane alle Eolie e che oggi racconta in un blog i progressi della spedizione. Incluse le sue disavventure, con gli ultimi quattro giorni spesi a recuperare il robot sottomarino rimasto incastrato sotto a una lastra di ghiaccio formatasi inaspettatamente, proprio come avvenne alla Endurance. E se Sir Shackleton si imbarcò dalla Gran Bretagna nel 1914 per raggiungere il Polo Sud e completare “l’ultimo grande viaggio rimasto all’uomo”, la Agulhas II si dedicherà alla ricerca della nave solo come appendice di una missione nata per scopi scientifici e ambientali.
Dal primo gennaio infatti l’equipaggio si è dedicato al monitoraggio di uno dei più imponenti iceberg formatisi in Antartide. A luglio del 2017 dalla piattaforma di ghiaccio Larsen C si è staccata un’isola più grande della Liguria, con 6mila chilometri quadri di superficie, uno spessore medio di 200 metri e trilioni di tonnellate di peso stimato. Non è chiaro se la formazione di questo iceberg-monstre sia frutto dei cambiamenti climatici o se faccia parte del normale ciclo di formazione e di distruzione delle piattaforme di ghiaccio. Il distacco della gigantesca isola bianca oggi fa temere il collasso dell’intera piattaforma Larsen C (la Larsen A e B si sono sgretolate nel 1995 e nel 2002). Di certo fra i tanti problemi che Shackleton e i suoi uomini si trovarono ad affrontare non c’era quello della fusione dei ghiacci attorno alla loro nave.