Corriere della Sera, 31 gennaio 2019
Il riconoscimento (150 anni dopo) alle scienziate della Tavola periodica
Lise Meitner iniziò a lavorare in uno scantinato del Dipartimento di Chimica dell’Università di Berlino – perché le donne non potevano stare nei laboratori – e ovviamente gratis. Con la sua ricerca pose le basi teoriche per la scoperta del processo di fissione dell’atomo, sulla base delle quali Otto Hahn realizzò quella dell’uranio e del torio per cui vinse, da solo, il Premio Nobel nel 1944.
Ida Noddack, la prima persona a ipotizzare la possibilità stessa della fissione, nel laboratorio entrava ma solo come «ospite» di suo marito, che lo dirigeva. E senza mai ricevere stipendi né borse di ricerca. Quando nel 1934, commentando l’identificazione del nettunio e del plutonio descritta da Enrico Fermi, aveva ipotizzato che il nucleo di un atomo potesse scindersi, nessuno l’aveva nemmeno presa in considerazione.
Harriet Brooks si era da poco laureata in fisica all’Università di Montreal in Canada quando il suo lavoro permise di teorizzare la natura gassosa di un derivato del radio, in seguito battezzato radon. La scoperta fu pubblicata nel 1901 in un articolo firmato con il suo supervisore Ernest Rutherford, che però pochi mesi dopo ne pubblicò un altro, da cui il nome della ricercatrice era sparito, sostituito da una breve notazione: «Sono stato assistito negli esperimenti da Miss H. T. Brooks». Così la scoperta del radon è diventata solo sua e soltanto a lui nel 1908 andò il Premio Nobel per la chimica: nel discorso con cui lo accettò Rutherford si guardò bene dal nominare la collega. Che, dopo aver avuto tre figli, abbandonò la ricerca.
Brooks, Noddack e Meitner sono solo tre delle molte donne che tra la fine Ottocento e il Novecento hanno contribuito a scoprire gli elementi del sistema periodico di Mendeleev. La maggior parte dei loro nomi sono sconosciuti.
Adesso, in attesa di celebrare il 6 marzo i 150 anni della Tavola periodica, Nature, la più importante rivista scientifica al mondo, riconosce il loro contributo dimenticato con un articolo della direttrice dell’Istituto per la Storia della scienza di Philadelphia Brigitte Van Tiggelen e della storica della chimica Annette Lykknes dell’Università norvegese di scienza e tecnologia «sulle donne che hanno rivoluzionato la nostra comprensione degli elementi. Marie Curie è la più celebre, per la sua ricerca sulla radioattività, premiata con due Nobel, e per la scoperta del polonio e del radio. Le storie di altri ruoli femminili sono scarse» scrivono le due studiose. «La maggior parte di queste pioniere – spiegano – ha lavorato con colleghi maschi, ed è difficile separare i loro contributi». Quasi sempre, però, il merito è andato solo agli uomini. Con qualche eccezione, per fortuna, soprattutto in Francia, dove il lavoro di Marie Curie ha aperto una strada alle scienziate donne. Così Marguerite Perey, che nel 1939 scoprì il francio (l’ultimo elemento trovato in natura; in seguito sono stati individuati solo quelli instabili prodotti negli acceleratori di particelle), nel 1962 divenne la prima donna affiliata all’Accademia francese, anche se come membro onorario. Perché una donna ne diventasse parte attiva, a pieno titolo, si sarebbe dovuto aspettare il 1979.
Se ancora oggi molti pensano che la scienza sia una cosa da uomini (un pregiudizio che – come è stato ampiamente dimostrato – tiene lontane le studentesse, rinforzando l’esclusione femminile) è anche per l’oscurità in cui sono state tenute queste pioniere.