Corriere della Sera, 31 gennaio 2019
Venezuela, la guerra del regime ai bambini
«Restituite i nostri bambini!». Il grido che risuonò da tutto il mondo verso la foresta nigeriana, qualche anno fa, ora si alza forte in un Paese occidentale. Qui non ci sono terroristi islamici e inermi studentesse, ma l’apparato repressivo di uno Stato che ogni giorno continua a perdere pezzi e reagisce con violenza e scompostezza. «Non era mai successo, in tutte le ondate di protesta in Venezuela, che venissero arrestati tanti bambini e adolescenti come stavolta», spiegano a Foro Penal, l’organizzazione che tiene il conto delle violazioni ai diritti umani e fornisce assistenza giuridica alle vittime. Nell’ultima settimana sono stati arrestati dalla polizia 77 ragazzini tra i 12 e 14 anni di età, quindi ben al di sotto dell’età minima di responsabilità penale. Quasi tutti il giorno 23, quello delle manifestazioni di massa in tutte le città, culminate con il giuramento di Juan Guaidó come presidente «incaricato», e lontano da Caracas, quindi dalla copertura mediatica alternativa alla propaganda di regime. Quel giorno, con oltre 700 casi, si è battuto ogni record di arresti in Venezuela negli ultimi vent’anni.
«Ero quello più picchiato di tutti, perché non piangevo. Sono state le guardie a menarmi, erano tutte donne». Lo sguardo afflitto di Jickson Rodríguez, 14 anni, ha fatto il giro del mondo sui social il 29, quando il ragazzino è stato rimesso in libertà, sei giorni dopo l’arresto. Dalla prigione Jickson è stato portato d’urgenza all’ospedale di Puerto Ordaz, perché vittima durante la detenzione di due convulsioni per mancanza di medicine. Il ragazzino soffre di crisi epilettiche. Altri tre casi hanno destato impressione: un bambino con sindrome di Down, un altro malato di cancro e una ragazzina india di 14 anni. A ieri, la Ong ha informato che molti degli adolescenti sono stati rimessi in libertà, ma ne restano dentro alcune decine.
Perché questo accanimento? In parte perché i minori sono stati catturati mentre manifestavano con adulti, quindi in retate a caso; ma è forte il sospetto che il regime voglia mandare un messaggio a tutti i giovani, affinché non tornino a diventare l’avanguardia dura della rivolta contro il regime chavista, come avvenuto in passato. Durante le proteste del 2017, ma anche prima, era sorta in tutto il Venezuela la figura del guarimbero (da guarimba, che significa barricata), l’oppositore pronto a scontrarsi con la polizia a margine delle manifestazioni principali. Quasi tutti molto giovani, con il volto coperto, il casco e la maschera antigas, i guarimberos si dedicavano a improvvisare barricate di rifiuti e macerie per bloccare le strade e fermare il traffico, e finivano sempre sotto il tiro della repressione. Alcuni di loro sono stati uccisi, quasi tutti hanno ricevuto ferite da pallottole di gomma e manganellate.
Da giorni al Foro Penal arrivano notizie di retate casuali e soprattutto minacce ai familiari degli oppositori uccisi dalla polizia e detenuti, affinché non denuncino gli abusi della repressione. «I genitori dei ragazzini picchiati o in galera sono minacciati quando chiedono notizie. Zitti o finirà peggio – raccontano gli avvocati —. Noi rispondiamo sempre che non è il momento di avere paura». Con la censura totale sui media tradizionali, circolano in rete immagini di familiari che chiedono notizie dei loro ragazzi davanti alle carceri e alle sedi della polizia. Il responsabile di uno dei principali siti di notizie teme che la prossima ondata repressiva possa abbattersi su di loro. «Abbiamo già notato nei giorni scorsi che la velocità delle connessioni Internet si abbassa decisamente in alcuni momenti della giornata, soprattutto quando parla Guaidó».
La repressione ha già colpito anche i giornalisti stranieri. Due francesi sono stati fermati mentre filmavano nei paraggi del palazzo presidenziale. Altri due reporter della televisione statale del Cile sono stati trattenuti per otto ore e poi portati all’aeroporto di Caracas per essere espulsi.