Internazionale, 28 gennaio 2019
A scuola con ragazze e ragazzi che dormono poco
Qualche anno fa ho avuto uno studente che dormiva in classe. Aveva vent’anni – era stato bocciato due volte – si faceva almeno due, tre ore di sonno pieno con la faccia sul banco. Non dormiva per noia – o insomma, credo, non solo. Era il sonno di chi arrivava a scuola distrutto, dopo una nottata in bianco. Non era l’unico.
Ogni volta che chiedo ai miei studenti – tra i 15 e i 19 anni – quanto dormono, ricevo una risposta abbastanza preoccupante: più della metà meno di sette ore; ma c’è chi mi dice che dorme anche cinque o tre ore. Le mie classi non sono un osservatorio privilegiato, né in positivo né in negativo. È l’impressione che hanno anche quei professori e quei genitori che osservano con attenzione ragazze e ragazzi, anche se questo interesse spesso manca. Nelle molte interviste che ho fatto in varie scuole superiori, ho capito che della questione non si parla quasi mai.
Le parole di ragazze e ragazzi
Milena, una ragazza di sedici anni di un liceo di Avezzano, ci teneva a farlo e mi ha richiamato diverse volte nelle settimane successive: mi ha spiegato che dorme in media quattro ore e che la sua vita è completamente influenzata dall’insonnia: «Mi addormento verso le cinque del mattino. Quando mi sveglio bevo tanto caffè, anche tre o quattro tazze, mi preparo in fretta, vado a scuola, e rimugino sulle cose tutto il giorno, fino a rimettermi nel letto senza riuscire ad addormentarmi», dice.
Carlo, al primo anno di università a Bologna, mi ha detto che dorme sei ore, ma molti dei suoi compagni non arrivano a quattro: «Giocano alla play, anche fino alle cinque del mattino, si sfondano».
Sara, diciott’anni, frequenta un istituto professionale a Ponticelli, nella periferia di Napoli. Mi ha raccontato che dorme al massimo due o tre ore per notte e che neanche lei si spiega il perché. Si addormenta alle quattro, si sveglia alle sei, alle volte fa la lunga, come mi dice: non chiude nemmeno occhio. Da due anni è così: «Durante il giorno fatico a reggermi in piedi, a scuola non riesco a seguire, sono sempre distratta».
Insonnie che nascono da disagi psicologici o da stati d’ansia non gestiti come si deve, ore di sonno sottratte per giocare e portare avanti relazioni sociali esili ma spesso uniche. I motivi per cui una ragazza o un ragazzo non dorme sono tanti. A chi si rivolgono per parlarne e affrontarli? Nella maggior parte dei casi a nessuno. Molto spesso non riescono nemmeno a riconoscere che sia un problema.
Studi ed esperimenti
Ogni caso è un caso a sé, ma ci sono sicuramente delle costanti che negli ultimi anni sono diventate evidenti, e socialmente importanti. In Adolescenti, una storia naturale, David Bainbridge parla delle fasi della crescita attraversate dagli esseri umani. Nell’età cruciale dello sviluppo – tra i 13 e i 15 anni per le ragazze, tra i 15 e i 17 per i ragazzi, secondo Bainbridge – il cervello ha bisogno di una quantità importante di ore di sonno, e sarebbe questa una delle ragioni principali per cui normalmente a quell’età si dorme tanto. Superata questa fase si acquisisce una resistenza fisica tale da riuscire a stare svegli fino a tardissimo o a soffrire meno la stanchezza. Ma abituarsi a dormire meno di sette o di cinque ore al giorno fa male, dicono gli esperti.
Ci sono molti studi che indicano in modo chiaro che la ripetuta mancanza di sonno provoca effetti negativi sullo sviluppo cerebrale. In un articolo del 2016 l’équipe guidata da Chiara Cirelli – direttrice del dipartimento del Wisconsin institute for sleep and consciousness – si legge che, nonostante ci sia bisogno di ulteriori studi su questo aspetto, «la cronica diminuzione del sonno nella prima adolescenza può influire sulla connettività cerebrale (cioè le vie di comunicazione tra neuroni, ndr) dell’adulto».
New Scientist ha raccontato un progetto in corso in alcune scuole di Seattle per cercare di affrontare il problema: «Rimandare l’orario di inizio delle lezioni non solo migliora la qualità del sonno degli studenti, ma aumenta anche la frequenza in classe e le prestazioni scolastiche (…) Gli adolescenti sono naturalmente portati a fare tardi la notte e a farsi belle dormite la mattina per via delle modifiche all’orologio biologico che si verificano durante la pubertà. ‘Praticamente si taglia l’ultima fase di sonno di cui hanno bisogno’, dice Horacio de la Iglesia dell’università di Washington. Per risolvere questo problema, dalla metà del 2016 le scuole di Seattle hanno deciso di spostare l’orario di inizio dalle 7:50 alle 8:45 (…) La durata media del loro sonno è passata da 6 ore e 50 minuti a 7 ore e 24 minuti, ma questo non è ancora abbastanza, dice Gideon Dunster all’università di Washington, coautore dello studio. “Gli studenti dormono di più, ma non stanno ancora dormendo la media di nove ore a notte raccomandata”».
In un altro articolo della rivista, Russel Foster fa un esempio che rende bene l’idea: «Per un adolescente, svegliarsi alle 7 è come svegliarsi alle 5 per una persona sui cinquant’anni».
L’iperconnessione
Davide, 18 anni, frequenta un istituto tecnico a Roma. Mi racconta perché va a letto tardi, o tardissimo: «Gioco alla play». Spesso lo fa su internet, con i compagni. Oppure chatta. Oppure manda video e foto agli amici fino all’una o alle due di notte.
L’iperconnessione per gli adolescenti (e non solo per gli adolescenti) non è un’eccezione, è la norma. Come scrive Jean M. Twenge nel libro Iperconnessi, a proposito degli adolescenti: «Quasi tutti dormivano con il telefono accanto: sotto il cuscino, sul materasso o comunque a portata di mano. Controllavano i social e guardavano video subito prima di andare a letto, e agguantavano il telefono appena aprivano gli occhi. Il telefono era l’ultima cosa che vedevano la sera e la prima al mattino. Se si svegliavano nel cuore della notte, finivano per dare uno sguardo al cellulare».
La quantità di tempo che ragazze e ragazzi passano online è cresciuto esponenzialmente negli ultimi dieci anni: se a metà degli anni duemila era un’ora al giorno, i dati che Twenge cita dall’inchiesta Monitoring the future dicono che oggi le ore sono almeno sei, passate su internet, sui social network, a spedirsi messaggi, a giocare. Anche in Italia, le varie statistiche – per esempio quella contenuta in Generazioni connesse, uno studio del ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – indica più o meno la stessa media.
La correlazione tra dipendenza da internet e riduzione del sonno è al centro di molti studi. Alcuni hanno lavorato su ampi campioni di studenti, in contesti geografici e sociali estremamente diversi, dalla Turchia all’Iran, dalla Corea del Sud a Taiwan. I ricercatori spiegano che la luce blu degli smartphone e dei tablet influenzerebbe negativamente il sonno, e mettono in guardia da possibili danni fisiologici, da quelli agli occhi a quelli neurologici.
Uno dei motivi che spinge ragazze e ragazzi a non staccarsi dal telefono sarebbe la cosiddetta Fomo (fear of missing out), ovvero l’ansia di perdersi quello che fanno gli altri e la paura di esserne tagliati fuori. Immaginate che la gran parte della vita sociale dei vostri amici si svolga online – nelle chat di gruppo o durante partite con altri – e immaginate che una parte importante avvenga la sera tardissimo, quando la giornata è finita e si è tutti a letto. Se voi vi addormentate alle undici, vuol dire che vi perderete ore di chiacchiere e giochi con i vostri amici.
Gli svantaggi della mancanza di sonno non sono pochi. Scrivono Marije Nije Bijvank, Geertje H. Tonnaer e Jelle Jones: «Cambiare le abitudini che precedono il sonno ha conseguenze sui risultati ottenuti a scuola (…) Rimandare il momento in cui ci si addormenta porterebbe a un minore autocontrollo, a posticipare le cose da fare e a gestire male il proprio tempo».
Sostanze eccitanti
E tutto questo senza considerare gli effetti del caffè, degli energy drink e di droghe come la cocaina. Matteo, vent’anni, al primo anno di scienze politiche a Roma, mi dice che per lui è normale studiare con le bevande energetiche: ha cominciato quando era al liceo e doveva prepararsi per le interrogazioni. Anche lui non è un’eccezione. Uno studio condotto dall’equipe guidata dalla professoressa Sabrina Molinaro, coordinatrice dell’European school survey on alcohol and other drugs, mostra che il loro consumo è considerato normale dagli adolescenti; mentre la consapevolezza dei rischi per la salute – che altri studi segnalano – è praticamente inesistente.
Una ricerca dell’European food safety authority fornisce dei dati preoccupanti: «Circa il 68 per cento degli adolescenti intervistati erano consumatori di bevande “energetiche”. In circa il 12 per cento di questi, il consumo era ‘elevato e cronico’ con una media di sette litri in un mese, e nel 12 per cento il consumo è “elevato e acuto”. Circa il 18 per cento dei bambini intervistati erano consumatori di bevande ‘energetiche’. In circa il 16 per cento di questi, il consumo era “elevato e cronico” con una media di 0,95 litri alla settimana (quasi quattro litri in un mese)».
Giampaolo, quattordici anni, frequenta un liceo dell’Aquila e mi dice che lui consuma una bevanda energetica prima di andare in palestra, di pomeriggio, così riesce a studiare anche fino all’una o le due di notte. Sara, di un istituto tecnico di Roma, mi conferma che tutti i suoi compagni ogni tanto bevono una di queste bevande.
Come reagiscono le scuole rispetto al consumo degli energy drink? In Italia non esiste nessun dibattito che si interroghi sul loro consumo tra gli adolescenti. Nel Regno Unito si discute se proibirle ai minorenni. Mentre in Lettonia e in Lituania sono vietati già da due anni a chi ha meno di 18 anni.
Federico Tonioni, psicologo e psichiatra che coordina il centro sulle dipendenze giovanili dell’ospedale Gemelli a Roma, mi tranquillizza su ciò che sembra allarmante, e mi allarma rispetto a ciò che invece può sembrare meno preoccupante. Lo fa provando a spostare il centro del dibattito non solo sugli aspetti patologici e di rischio:
«Il nostro profilo cognitivo sta cambiando, influenzato dall’uso degli smartphone. Pensiamo che siano solo degli strumenti, ma hanno invece una funzione relazionale ed emotiva. Pensiamo sempre che il problema sia il telefono, quando invece sono le relazioni. I giochi online fatti di notte, soprattutto per chi ha problemi relazionali, sono gli unici possibili per chi non riesce a stabilire altri contatti: per alcuni, le persone conosciute in quei contesti, sono gli unici amici. Non è che i ragazzi si divertano ad avere solo relazioni nate solo su telefoni o tablet, è che spesso non hanno alternative. E per poter mantenere queste relazioni, magari si addormentano alle due di notte».
Il rapporto tra la riduzione del sonno e l’uso dei telefoni riguarda anche il modo di concepire, far nascere e mantenere le relazioni tra le nuove generazioni, e quindi richiede un’offerta pedagogica più strutturata e creativa del semplice interrogativo su come facciamo a far andare i nostri figli a letto prima o a fargli posare il telefono.
È una sfida, non può essere solo un auspicio, o una buona prassi delle famiglie o delle scuole. Occorre tenere a mente esperimenti come quelli realizzati a Seattle, certo. Ma occorre ancora di più una vera inchiesta del ministero dell’istruzione sulle abitudini del sonno delle ragazze e dei ragazzi in Italia, così da mettere in campo dei progetti concreti, prima che il problema assuma proporzioni più ampie e meno gestibili di oggi.