La Stampa, 30 gennaio 2019
Dai segreti su nubi e ghiacciai un modello per predire il clima
Oggi molti di noi controllano le previsioni meteorologiche prima di uscire di casa. Se leggiamo che c’è un 70% di probabilità di pioggia, un ombrello lo prendiamo, perché le previsioni spesso ci azzeccano, anche se ci piace lamentarci delle occasioni sempre più rare in cui falliscono. Sarebbe lecito aspettarsi la stessa accuratezza nelle previsioni climatiche, visto che si basano su modelli simili. Invece i margini di incertezza sono più ampi. Per esempio, alcuni modelli climatici predicono che la temperatura media terrestre crescerà di due gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale già nel 2030, anche se dovessimo ridurre le emissioni di anidride carbonica nei prossimi anni, mentre altri modelli predicono che la soglia dei due gradi non sarà superata fino al 2060, anche se non dovessimo ridurre le emissioni.
Perché queste differenze nell’accuratezza delle previsioni? Un gruppo di scienziati, di cui sono onorato di far parte, è partito da questa domanda per costruire un modello climatico di nuova generazione che adotta strategie usate per sviluppare i modelli per le previsioni meteorologiche opportunamente modificate. La scommessa è che questo modello ci farà fare un grande passo avanti nelle previsioni climatiche. Un consorzio di fondazioni private e pubbliche ha deciso di scommettere sul progetto «CliMA» («Climate Modelling Alliance»), composto da professori, ricercatori e studenti del California Institute of Technology, Massachusetts Institute of Technology, Nasa e Postgraduate Naval School of Monterey.
I modelli meteorologici risolvono con i computer le equazioni che descrivono l’evoluzione dell’atmosfera, giorno per giorno, per una settimana o poco più. I modelli climatici, invece, predicono le condizioni atmosferiche medie su lunghi periodi (come il numero medio di temporali in una regione) e perciò devono in aggiunta risolvere le equazioni di tutte le altre componenti del clima (oceani, ghiacci, terra e biosfera) cha cambiano su tempi lunghi. La maggiore limitazione di entrambi i modelli non deriva da incertezze sulle equazioni da risolvere, che conosciamo abbastanza bene, ma dal fatto che neanche i computer più potenti possono risolvere le equazioni per ogni singola molecola d’aria, acqua, ghiaccio e terra. Invece i modelli dividono atmosfera, oceani, ghiacci e terra in blocchi di poco meno di 100 per 100 chilometri in orizzontale e parecchie decine di metri in verticale e calcolano le equazioni medie per ciascun blocco. Ma, così facendo, perdono molti dettagli, un po’ come una persona che vede sfocato senza occhiali. Per esempio non sono in grado di risolvere, una ad una, le nuvole in atmosfera o i ghiacciai sulle montagne, elementi che giocano un ruolo importante nel determinare sia il tempo meteorologico su tempi brevi sia il clima su tempi lunghi. Per ovviare a questo problema gli scienziati mettono una sorta di occhiali ai modelli, cioè aggiungono termini («parametrizzazioni» in gergo scientifico) nelle equazioni medie che descrivono i processi che avvengono a scale più piccole dei blocchi del modello.
Nei modelli meteorologici le parametrizzazioni sono basate su regole empiriche derivate da osservazioni fatte ogni giorno con palloni sonda, satelliti, termometri. Purtroppo non abbiamo osservazioni di come cambiano nuvole, temporali, ghiacciai in climi differenti dal nostro e perciò nei modelli climatici le parametrizzazioni sono basate su una combinazione di intuizioni fisiche ed estrapolazioni delle parameterizzazioni meteorologiche e, di conseguenza, sono meno affidabili.
L’idea del nostro gruppo è creare osservazioni artificiali dei processi a piccola scala per migliorare le parametrizzazioni dei modelli climatici. Faremo super-simulazioni numeriche delle equazioni per atmosfera, oceani, ghiacci e terra separatamente in ciascuno dei blocchi del modello climatico. Queste super-simulazioni possono essere fatte con griglie numeriche di qualche metro che risolvono la maggior parte dei processi a piccola scala, come nubi e ghiacciai. Possono quindi essere usate come osservazioni artificiali per migliorare le parametrizzazioni per il modello climatico.
Il nostro obiettivo è completare il nuovo modello che chiamiamo «Climate Machine» in cinque anni, lavorando a marce forzate come una start-up. Siamo ottimisti che le nuove parametrizzazioni ci permetteranno di migliorare l’accuratezza delle previsioni climatiche e di rispondere a domande come qual è la probabilità che la temperatura terrestre aumenti di due gradi rispetto all’epoca pre-industriale nei prossimi 20 anni nella zona mediterranea. Un modello di questo genere permetterebbe ai politici di scegliere l’«‘ombrello» più adatto da prendere per affrontare i cambiamenti climatici in corso.
Il progetto è finanziato da Eric and Wendy Schmidt (su raccomandazione di Schmidt Futures program); da Mission Control Earth; dalla National Science Foundation e dalle Paul G. Allen Philanthropies. Se siete interessati a seguire il nostro lavoro potete trovare più dettagli al website https://clima.caltech.edu.