1 – VENEZUELA: MADURO, PRONTO A DIALOGARE CON OPPOSIZIONE, 30 gennaio 2019
MADURO A MORIRE – IL DITTATORE VENEZUELANO SI FA INTERVISTARE DA SPUTNIK, AGENZIA DELL’AMICO PUTIN: “TRUMP HA DATO L’ORDINE DI UCCIDERMI, SONO PRONTO A NEGOZIARE CON L’OPPOSIZIONE” – IL SUO FEDELISSIMO PROCURATORE GENERALE METTE SOTTO INCHIESTA GUAIDÓ: “NON PUÒ LASCIARE IL PAESE” – TRUMP VUOLE MANDARE 5MILA SOLDATI E PREPARA IL BLOCCO DELLE ESPORTAZIONI. VLAD INVIA I MERCENARI -
(ANSA) - Il presidente del Venezuela Nicolas Maduro si dice pronto a dialogare con l'opposizione e apre alla possibile mediazione di Paesi terzi nella crisi venezuelana. "Sono pronto a sedermi al tavolo dei negoziati con l'opposizione per parlare per il bene del Venezuela, per il desiderio di pace e per il futuro", ha detto Maduro in un'intervista all'agenzia russa Ria Novosti. Parlando di una possibile mediazione internazionale, Maduro ha affermato che "ci sono diversi governi e organizzazioni nel mondo che hanno dimostrato la loro sincera preoccupazione per cosa avviene in Venezuela e hanno esortato al dialogo". Il presidente venezuelano si è detto favorevole a un intervento di altri Stati in tal senso e ha menzionato in particolare "i governi di Messico, Uruguay, Bolivia, Russia, Vaticano e alcuni governi europei".
"Sto inviando loro delle lettere ufficiali perché possano sostenere il dialogo in Venezuela dove vogliono, quando vogliono e in qualsiasi forma vogliano", ha affermato Maduro.ù
2 – VENEZUELA: MADURO, TRUMP HA DATO L'ORDINE DI UCCIDERMI (ANSA) - Il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, ha detto che non ha dubbi che Donald Trump ha ordinato di ucciderlo, aggiungendo che "ha detto al governo colombiano e alle mafie della oligarchia colombiana di uccidermi", in un'intervista con la Sputnik, agenzia governativa russa.
"Se un giorno mi dovesse succedere qualcosa, i responsabili sarebbero Donald Trump e il presidente della Colombia, Ivan Duque", ha detto Maduro, sottolineando che "nel frattempo continuerò a proteggermi". Il presidente venezuelano ha aggiunto che "per fortuna abbiamo buoni sistemi di protezione, con ottimi consiglieri internazionali", ma non ha voluto rispondere a una domanda sulla presenza di contractor russi nel suo personale di sicurezza, come segnalato da informazioni sui media. "Non posso dirlo", ha risposto a una domanda su questa possibilità.
3 - VENEZUELA: NOTA BOLTON SU TRUPPE USA, COLOMBIA IGNORA TUTTO
(ANSA) - Il governo colombiano ha assicurato oggi di non avere alcuna informazione sul senso di un appunto fotografato ieri in mano al Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, John Bolton, riguardante il presunto arrivo di "5.000 soldati in Colombia" nell'ambito della crisi in Venezuela. In una dichiarazione nel palazzo presidenziale di Narino a Bogotà, riferisce Radio Caracol, il ministro della Difesa, Carlos Holmes Trujillo, ha detto che "rispetto alla menzione della Colombia in un quaderno di appunti nelle mani del signor Bolton, non siamo a conoscenza della portata di tale annotazione". La discussa foto è stata scattata durante la conferenza stampa in cui gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni nei confronti della compagnia petrolifera statale venezuelana Pdvsa.
4 - "NON PUÒ LASCIARE IL PAESE" MADURO MINACCIA GUAIDÓ E SPUNTANO LE MILIZIE STRANIERE Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
La crisi venezuelana si inasprisce, alla vigilia della manifestazione in programma oggi, con il procuratore generale che intima al presidente ad interim Guaidó di non lasciare il Paese perché è sotto inchiesta. Gli Usa rispondono subito che ci saranno «serie conseguenze» se qualcuno gli farà del male, e questo rilancia la preoccupazione per uno scontro che da diplomatico ed economico rischia di diventare militare.
Tarek William Saab, procuratore generale del Venezuela legato al regime di Maduro, ieri ha intimato a Guaidó di non lasciare il Venezuela e ha congelato i suoi conti correnti, come parte di una inchiesta preliminare su di lui. Il leader dell' opposizione è stato individuato come capo delle proteste che negli ultimi giorni «hanno infranto la pace della repubblica», e il Tribunale Supremo di Giustizia verrà chiamato a decidere il suo destino.
Il presidente ad interim ha risposto così, parlando all' Assemblea nazionale: «Non è che sottovaluto la possibilità di finire in prigione, ma purtroppo non c' è nulla di nuovo sotto il sole. Il regime non dà risposte ai venezuelani, e le uniche repliche sono repressione e persecuzione». Quindi ha aggiunto: «Non desisteremo a causa delle minacce. Continueremo la nostra lotta».
L'avvertimento Nelle stesse ore, il consigliere per la sicurezza nazionale americano, John Bolton, ha reagito con questo avvertimento: «Denunciamo le minacce illegittime dell' ex procuratore generale venezuelano contro il presidente Juan Guaidó. Consentitemi di reiterare che ci saranno serie conseguenze per coloro che cercheranno di sovvertire la democrazia e fare del male a Guaidò». Il dipartimento di Stato ha invitato i cittadini ad evitare il Venezuela.
La sfida finora è stata soprattutto diplomatica ed economica, con i molti riconoscimenti del presidente ad interim che intende portare il Paese verso nuove elezioni, e le sanzioni annunciate lunedì da Washington, che tolgono a Maduro il controllo dei ricavi americani della compagnia petrolifera Pdvsa e della sussidiaria negli Usa Citgo. L' amministrazione Trump stima che questi provvedimenti toglieranno al regime 7 miliardi di dollari in beni già esistenti, e 11 miliardi di incassi previsti nel prossimo anno.
Le esportazioni petrolifere generano il 95% del contante venezuelano, e il loro blocco può mettere in ginocchio Maduro, provocando però anche un' emergenza umanitaria tra la popolazione. L'appunto rubato La mossa di Saab potrebbe essere una reazione a questa offensiva americana, per intimidire Gauidó e i suoi sostenitori.
La minaccia di arrestarlo però viene proprio alla vigilia della manifestazione di oggi, in cui i sostenitori del presidente ad interim torneranno a pubblicizzare la legge di amnistia con cui sperano di convincere i militari ad abbandonare il regime, e rilancia il rischio di una svolta violenta della crisi.
Lunedì sera, mentre annunciava le nuove sanzioni, Bolton aveva sotto al braccio un blocco in cui c' era scritto «5.000 soldati in Colombia». Questo ha riacceso le speculazioni sulla possibilità che gli Usa preparino anche un intervento militare, che lo stesso presidente Trump non ha mai escluso. Anzi, ne aveva discusso nei giorni scorsi con i suoi collaboratori.
Era noto che almeno 50 marines erano già stati mobilitati, nel caso fossero dovuti intervenire per proteggere i diplomatici americani a Caracas, a cui Maduro aveva intimato di lasciare l' ambasciata nel giro di 72 ore. Quell' ultimatum poi è stato annullato, ma non è inusuale che il Pentagono sia sempre pronto a qualunque opzione. Infatti il ministro della Difesa ad interim Patrick Shanahan ieri non ha smentito, replicando con un «no comment» alla richiesta di spiegare il senso della nota di Bolton.
Maduro prepara la resistenza: «In ogni quartiere servono 50.000 combattenti» avrebbe ordinato il leader bolivariano. Molti analisti pensano che se la crisi precipitasse verso un confronto militare, il grosso dell' intervento sarebbe gestito da forze della regione, come quelle colombiane e brasiliane. Sul piano militare, del resto, la situazione è internazionalizzata da tempo. È noto che i consiglieri cubani puntellano il regime, in particolare nel servizio segreto Sebin, mentre la Reuters ha scritto che mercenari di Mosca proteggono Maduro.
La Novaya Gazeta ha scritto che lunedì sera un misterioso Boeing 777 della russa Nordwind Airlines è atterrato a Caracas, senza passeggeri civili a bordo. Il ministro della Difesa colombiano Guilermo Botero ha denunciato la presenza in Venezuela di Gustavo Anibal Giraldo Quinchia, capo dell' Ejercito de Liberation Nacional (Eln), che con i suoi guerriglieri aiuterebbe l' esercito di Caracas, mentre sono girate anche voci sulla presenza di arabi e iraniani nei colectivos. Uno schieramento di forze che minaccia di allargare la crisi del Venezuela oltre i suoi confini.
4 - BLOCCARE CONTI ESTERI E VENDITE DI GREGGIO LA STRATEGIA USA PER STRANGOLARE IL REGIME Anna Guaita per “il Messaggero”
Strangolarlo economicamente e minacciarlo militarmente. Questa sembra essere la strategia che l' Amministrazione Trump ha deciso di adottare contro il presidente venezuelano Nicolas Maduro, che la Casa Bianca non riconosce più come legittimo leader del paese. Una strategia che ricorda quella già applicata contro la Corea del nord. Fra lunedì e martedì Trump ha annunciato una serie di nuove sanzioni contro il Paese sudamericano, mirate a congelare l' export del petrolio e i conti bancari che Caracas ha negli Usa.
Allo stesso tempo il presidente ha più volte dichiarato che «tutte le opzioni sono sul tavolo» quando gli è stato chiesto se anche l' opzione militare poteva essere presa in considerazione. Questa parole sono sembrate assumere un carattere più minaccioso, quando il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton è comparso in pubblico stringendo sotto il braccio un blocco di appunti in cui aveva scritto: «5 mila soldati in Colombia». Non ci sarebbe motivo di immaginare la spedizione di un simile forza nel Paese sudamericano, se non che potrebbe essere usata per invadere il confinante Venezuela.
Il capo ad interim del Pentagono, Patrick Shanahan si è limitato a dire di «non poter fare commenti». Tuttavia numerosi osservatori esperti di Forze Armate hanno sottolineato che non c' è nessun segno che faccia pensare a un movimento di truppe. Forse quella frase voleva solo essere una intimidazione di Maduro, e non è stata esposta agli occhi curiosi delle telecamere per puro caso. Bolton l' aveva sottobraccio nella stessa conferenza stampa in cui insieme al ministro delle Finanze Steve Mnuchin annunciava le nuove sanzioni elevate contro il Venezuela, con il blocco delle importazioni di petrolio prodotto dalla compagnia nazionale Petroleos de Venezuela.
CLIENTI VECCHI E NUOVI Gli Usa sono il principale cliente della produzione petrolifera venezuelana, e importano quotidianamente una media di 506 mila barili di greggio, che viene raffinato in Texas. A soffrire non sarà dunque solo il regime di Maduro, ma le stesse raffinerie texane, lamentano gli osservatori Usa. L'Amministrazione calcola che il danno in termini di mancati proventi da esportazione sarà per il Venezuela di oltre 11 miliardi di dollari nell' arco di dieci anni. Tuttavia gli esperti pensano che la cifra sia esagerata e che il greggio venezuelano troverà presto altri clienti, anche se più lontani: Cina e India sono i primi due che avrebbero già espresso interesse.
Gli Usa hanno anche trasferito la gestione dei conti venezuelani presenti nelle banche Usa al governo del presidente ad interim Juan Guaidó, togliendo a Maduro circa 7 miliardi di dollari. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha scritto in un documento ufficiale che il provvedimento è volto a «salvaguardare questi beni a beneficio del popolo venezuelano». Alla RBC Capital Markets, la banca di investimenti globali, sono comunque certi che la botta peggiorerà ulteriormente la situazione dell' industria petrolifera venezuelana: «L' industria è in rovina. Le cose peggioreranno prima di migliorare» ha detto alla Cnn il direttore della sezione energia, Michael Tran.
5 – PUTIN NON HA FRETTA Micol Flammini per “il Foglio”
La notizia dell' arrivo di quattrocento soldati mercenari russi in Venezuela continua a trascinarsi una domanda: ma dove saranno andati a finire? Quattrocento persone non sono certo poche, cosa fanno, dove vivono, come si muovono? A dare la notizia è stata l' agenzia Reuters dopo attente verifiche. L' esercito mercenario avrebbe fatto scalo a Cuba, paese amico di Nicolás Maduro, per poi proseguire fino a Caracas.
Le truppe di soldati irregolari sono spesso presenti negli scenari in cui il Cremlino non vuole far entrare l' esercito ma vuole mantenere il controllo. Sono in Ucraina, sono in alcune zone della Siria, in Sudan e in Repubblica centrafricana, non hanno il compito di risolvere la situazione, ma di mantenerla quanto più ingarbugliata, caotica e tesa possibile. In Venezuela, Vladimir Putin non ha fretta. Rimarrà fedele a Maduro non perché sia legato o interessato alla figura del leader venezuelano.
Anzi, il Cremlino si è spesso sentito in imbarazzo per alcune sue dichiarazioni di amicizia e fratellanza spropositate. Né perché creda che il presidente sia la soluzione migliore per la nazione, le sorti della popolazione non interessano Mosca ma, più durerà il trambusto, il disordine, l' agitazione e l' eccitazione della protesta, più i russi sentiranno che i loro interessi sono al sicuro.
Nel panorama della nazione sudamericana non è la Russia il più grande e il più importante tra gli attori coinvolti, è il terzo in ordine di importanza dopo Stati Uniti e Cina. Per qualcuno che nell' elenco include anche il Brasile è addirittura il quarto, ma è senza dubbio quello che ha più interesse nel mantenimento del caos, e la presenza dei mercenari servirebbe a questo, ad alimentare il senso di agitazione politica che soltanto la figura di Maduro può garantire.
La Russia e le sue società di proprietà statale hanno fornito al Venezuela crediti e investimenti per un importo di 17 miliardi a partire dal 2006, dall' inizio delle proteste Rosneft, il gigante petrolifero, ha già perso il 2,6 per cento e come ha detto Dmitri Marinchenko di Fitch a Mosca, la cosa peggiore che ora possa accadere alla società del petrolio è un cambio di potere ai vertici.
Ma più che parteggiare per un ritorno all' ordine e per una piena restaurazione del regime di Maduro, così come vorrebbe la Cina, la Russia sa che lo scenario del disordine e delle piazze in agitazione può esserle ancora più utile. Più a lungo si trascinerà il conflitto, maggiori saranno le probabilità che si trasformi in uno stallo civile prolungato. La Russia in questi anni ha usato il Venezuela per avere una base in Sudamerica, per far atterrare bombardieri russi con capacità nucleari a due passi da Washington, ma è altamente improbabile che intervenga militarmente con il proprio esercito.
Vuole evitare di inviare una forza seria a Caracas che potrebbe anche doversi scontrare un giorno con gli Stati Uniti, è suffi ciente una presenza piccolina, mimetica che agisca in silenzio per scongiurare una rapida soluzione del conflitto. Per la Russia il Venezuela è anche un terreno difficile su cui agire, è un alleato lontano e ha già escluso ulteriori aiuti finanziari.
E' un copione ormai antico che il Cremlino riproduce da anni. Non è la prima volta che appoggia un leader nei guai - ma questa volta è ancora meno motivata a intervenire -, chiedendo che il cambio di regime avvenga dopo regolari elezioni. Lo ha fatto in Siria dove Assad è ora più radicato al potere rispetto a sei anni fa. In Ucraina, Mosca non è stata in grado di garantire la sopravvivenza del governo in difficoltà, Yanukovich è fuggito in seguito alle proteste del 2014, ma comunque i russi hanno saputo mantenere il loro controllo alimentando e le aspirazioni separatiste.
Anche in Venezuela lo scopo è sempre lo stesso e risponde al paradigma che ha guidato la politica estera russa degli ultimi anni: quanto più una nazione è in difficoltà, più facile è per Mosca aumentare la sua ingerenza. Il Cremlino sa creare conflitti e sa mantenerli latenti, lo fa con pazienza. Il Venezuela non fa eccezione, Vladimir Putin non ha fretta, oggi ci saranno nuove proteste e poi altre ancora, l' impor tante è non trovare una soluzione, i mercenari non si vedono, ma Reuters assicura che ci sono, e se ci sono, sono lì per quello.