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 2019  gennaio 30 Mercoledì calendario

Catalogo delle piccole banche in difficoltà

Dopo un decennio difficile per l’impatto della crisi del 2008 e di quella del 2010- 2011, la salute delle banche italiane è in miglioramento. Lo testimonia l’ultima edizione del Focus sul sistema bancario pubblicata nei giorni scorsi dall’area studi di Mediobanca, che ha analizzato i bilanci a fine 2017 di 405 istituti. Nell’“ospedale del credito” i reparti si sono svuotati notevolmente, ma non tutti gli istituti hanno risolto i loro problemi.
A fine 2017 c’erano 16 banche che segnavano indici di bilancio critici su tre fronti: la qualità del credito, la sua incidenza sul patrimonio e la redditività. Mediobanca rileva che a fine 2017 erano 63 gli istituti italiani ad avere un indice “Texas ratio” (peso dei crediti deteriorati lordi sul patrimonio netto tangibile sommato ai fondi di rettifica) superiore al 100%, mentre a fine 2016 a superare questa soglia critica erano in 113. C’erano 111 istituti con un indice dei crediti deteriorati lordi sul totale dei crediti (Npl ratio) superiore al 20% (nel 2016 erano 173 le banche in questa condizione). Sempre a fine 2017, 80 banche avevano un rapporto tra crediti deteriorati netti e capitale primario (Core Tier1 capital) superiore al 100%, a fronte delle 118 del 2016. Quando alla redditività, misurata dal rapporto tra costi e ricavi al netto di quelli da trading (cost income ratio), a fine 2017 66 banche avevano un indice superiore al 90%, a fine 2016 erano 91. Se a fine 2016 le banche “in piena salute” erano 191, a fine 2017 erano invece 210. Ma ancora 16 istituti “sballavano” su tutti e quattro gli indici, a fronte dei 38 in condizioni simili un anno prima.
Nell’elenco delle “diagnosi difficili” c’erano Mps e Carige, la senese già nazionalizzata e la genovese in difficoltà tali, dopo lo stallo sull’aumento di capitale, da fare decidere la Bce a commissariarla lo scorso 2 gennaio. Nel reparto, insieme ai due istituti malati appaiono altre tre banche Spa: la filiale italiana di Hypo Alpe Adria Bank, che sin dal 2012 ha pagato la crisi della casa madre austriaca dismettendo le attività e riducendo a un’ottantina i 400 addetti della sede di Tavagnacco (Udine). Nei giorni scorsi Il ministero delle Finanze di Vienna, primo azionista della banca nazionalizzata a novembre 2014, ha deciso la cessione della filiale italiana. Ma c’è anche, con 530 anni di storia, Banca del Monte di Lucca, che fa parte del gruppo Carige ma non è stata toccata dal commissariamento. In difficoltà c’è anche la campana Banca regionale di sviluppo, che paga la crisi economica e i cui problemi hanno portato al commissariamento e a una nuova governance l’azionista Fondazione Banco Napoli.
Nell’elenco delle banche in difficoltà a fine 2017 c’era poi la Popolare di Puglia e Basilicata, dal quartier generale di Altamura (Bari), sta mettendo in sicurezza la qualità del credito grazie a maxi-operazioni di cessioni di crediti deteriorati: a novembre ne ha ceduti circa 140 milioni, insieme ad altri di un gruppo di altri 15 istituti analoghi per un valore complessivo di un miliardo, alla società veicolo Pop Npls 2018 con una maxi-cartolarizzazione in pool per cogliere l’opportunità fornita dal prolungamento delle garanzie pubbliche (Gacs).
Ma tra le banche in difficoltà la pattuglia più rappresentata è quella del mondo del credito cooperativo: a fine 2017 erano 10 gli istituti che secondo Mediobanca sforavano tutti e quattro i livelli critici. In questi casi, la terapia che si tenta sempre passa per le fusioni e le aggregazioni dettate dalla necessità di fare massa critica. La Bcc Centropadana di Lodi ad esempio ha sfruttato le Gacs per cartolarizzare crediti con Iccrea, gruppo al quale hanno aderito anche la Bcc Brianza e Laghi, nata da un anno circa dalla fusione tre le Bcc Alta Brianza e Lesmo (Monza), e la laziale Bcc dei Colli Albani. RovigoBanca invece ha aderito al gruppo trentino Cassa Centrale, così come la Bcc marchigiana di Recanati e Colmurano. Le fusioni hanno spopolato nelle Marche: a novembre Banca Suasa, negativa su tutti i parametri, si è fusa con la Bcc di Civitanova e Montecosaro, creando Banco Marchigiano, per poi aderire al gruppo Cassa Centrale. A fine ottobre erano invece “convolate a nozze” le Bcc di Ancona e di Falconara Marittima. Un destino al quali non è sfuggita l’ultima delle Bcc segnalate da Mediobanca: a dicembre un decreto regionale ha stabilito che la Bcc di Sambuca di Sicilia (Agrigento) sarà incorporata nella Banca del Nisseno di Sommatino e Serradifalco (Caltanissetta).
Ma le aggregazioni non sempre risolvono i problemi, a volte non intercettati nemmeno dagli elenchi di Mediobanca. Lo testimonia la vicenda della catanese Banca Base che a febbraio scorso finì in crisi di liquidità (dopo una corsa agli sportelli) tanto da dover bloccare i conti di duemila correntisti. Per salvarla intervenne la Popolare di Ragusa i cui soci sono ora in rivolta perché non riescono a rivendere le azioni non quotate. Anche la modenese Popolare Sanfelice, in fase di pulizia dei crediti, è in cerca di una aggregazione e anche qui i 5.300 soci con azioni non quotate si interrogano sul futuro.