il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2019
Perizia sul Morandi, quasi due mesi per una traduzione
La promessa: ricostruire un ponte di un chilometro in un anno. Ma in 50 giorni non si è riusciti a tradurre dal tedesco le 172 pagine dello studio chiave su cui si baserà la perizia tecnica decisiva per l’inchiesta.
A Genova c’è chi comincia a dubitare che le scadenze saranno rispettate. Basta guardare l’odissea dello studio preparato dagli specialisti dell’Empa di Dubendorf (Zurigo). Un’équipe coordinata dal professor Gabor Piskotyi di cui fanno parte Roman Loser, esperto di cemento, e Ulrik Hans, studioso di corrosione dei metalli. Il file, giunto ai legali degli indagati, ha la data del 13 dicembre scorso. Quasi due mesi fa. C’è un dettaglio: è in tedesco. E non è roba da poco: perché la traduzione è difficile, zeppa di termini tecnici. Ma soprattutto per poterci lavorare davvero le parti hanno bisogno di un testo comune, insomma di una traduzione asseverata dal Tribunale. Che non arriva. Era stata annunciata prima di Natale, poi all’inizio di gennaio. Adesso si spera che compaia alla prossima riunione dei periti, prevista per domani. E gli avvocati si arrangiano con Google Translator.
Ma l’episodio conferma un timore ormai diffuso: le perizie – che si basano anche sullo studio svizzero – richiederanno mesi. All’inizio si era parlato di dicembre, ma oggi i periti del gip non danno più date. E non per cattiva volontà. Intanto circolano voci sul contenuto del fantomatico papiro elvetico. Nei giorni scorsi si era diffusa la notizia che gli esperti di Zurigo avessero assolto i famosi stralli, cioè i cavi d’acciaio che sostenevano il Morandi. In pratica, si diceva, a cedere per primo potrebbe essere stato l’impalcato – cioè la base su cui poggia l’asfalto – che si sarebbe tirato dietro gli stralli.
Il Fatto ha più volte esaminato lo studio: l’elemento che ha innegabilmente attratto maggiormente l’attenzione degli esperti sono proprio gli stralli. Decine e decine di fotografie, dettagli di ogni genere. Filo per filo. “L’aspetto – sostiene un tecnico che ha esaminato personalmente gli stralli – è evidentemente ammalorato. Secondo noi la causa del disastro non possono che essere quei cavi”.
Ma a dirlo, oltre alle immagini che possono ingannare, sembrano anche i tecnici svizzeri in alcuni passi della relazione già riportati dal nostro giornale: “Il 50 per cento dei trefoli della sommità del pilone 9 riporta livelli di corrosione o riduzioni di sezione tra il 30 e il 70 per cento. Solo il 4 per cento risulta intatto”, scrivono gli esperti che hanno esaminato 17 reperti provenienti dal vertice del pilone 9 che crollando ha ucciso 43 persone. Uno studio – la versione completa arriverà tra circa un mese – che costituirà probabilmente il cardine del processo. Gli studiosi hanno esaminato oltre mille trefoli, cioè quelle componenti – a loro volta composte da centinaia di fili – che si attorcigliano tra loro formando i cavi che tenevano su il ponte. Il livello di ammaloramento del materiale viene classificato in cinque categorie: zero, cavi intatti. Uno, cavi intatti con rotture ininfluenti. Due, cavi corrosi o con riduzione della sezione fino al 30 per cento. Tre, corrosione o riduzione dal 30 al 50 per cento. Quattro, corrosione e riduzione di sezione dal 50 al 70 per cento. E cinque, danneggiamento dal 70 al 100 per cento.
L’analisi dei trefoli in cima al pilone 9 ha dato risultati che paiono indicare con molta probabilità la causa del crollo: il 28 per cento dei cavi va iscritto nella categoria 4. Il 22 per cento viene classificato in categoria 3. Il 30 per cento in 2, il 16 per cento in 1. Appena il 4 per cento appaiono “intatti”.
Certo, non basta per stabilire con certezza la dinamica del crollo. E infatti nel dossier appaiono le fotografie delle sezioni di ogni singolo trefolo. La modalità dello strappo rivelerà con certezza se il cedimento sia avvenuto come causa prima del crollo oppure se, come qualcuno ha sostenuto, il cavo sia stato tirato perché ha ceduto l’impalcato. Ipotesi, però, ritenuta estremamente “improbabile”.
Quindi la causa, finora, pare essere il deterioramento degli stralli. Accompagnata e aggravata da altre circostanze: nei giorni scorsi i rilievi sul moncone ovest del ponte – in fase di demolizione – hanno rilevato uno spessore dell’asfalto eccessivo, forse frutto dei lavori che si sono succeduti negli anni. Si parla di una quindicina di centimetri, che avrebbero fatto gravare sul ponte decine di tonnellate di peso supplementare. Ma ci sono anche i new jersey, i blocchi di cemento che limitavano le carreggiate. Altro peso supplementare per 2mila tonnellate. E c’è, a detta di un investigatore, soprattutto un altro elemento: il traffico, fino a 100mila mezzi al giorno. Una sollecitazione che avrebbe fatto oscillare milioni di volte il ponte. Fino a far cedere gli stralli già deteriorati.