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 2019  gennaio 30 Mercoledì calendario

Nei giornali stranieri parolacce e allusioni

28 marzo 2017. Il Daily Mail, il secondo quotidiano inglese dopo il Sun, oltre un milione di copie vendute al giorno, titolava: «Never mind Brexit, who won Legs-it!». Accanto alla scritta, che si fonda su un gioco di pronuncia – «Legsit» si pronuncia come «Brexit» e la traduzione in italiano sarebbe «A chi importa di Brexit, chi ha vinto la sfida delle gambe» – c’è una foto della premier britannica Theresa May e del primo ministro scozzese Nicola Sturgeon. Entrambe sono sedute, entrambe indossando la gonna, entrambe hanno le gambe in primo piano. Il giornale venne accusato di sessismo, con una mentalità anni Cinquanta. Perfino il leader laburista Jeremy Corbyn – quello che viene chiamato «l’antisemita inconsapevole» da quando si sono scoperti i suoi contatti con gruppi inglesi che hanno in antipatia gli ebrei – scrisse su Twitter: «È il 2017. Questo sessismo deve essere consegnato alla storia. Vergogna». 

BOTTA E RISPOSTA
Il Daily Mail rispose alle critiche, garbatamente, con un «ma fatevi ’na vita», senza grandi approfondimenti: «Esiste una regola secondo la quale la copertura politica deve essere noiosa o puritana come quella della BBC? E i commentatori di sinistra, così ossessionati dal Daily Mail, hanno perso tutto il senso dell’umorismo... e delle proporzioni?». Finì che a chiudere la discussione fu proprio la May, la quale mandò al diavolo sia gli uni che gli altri: «Se le persone vogliono divertirsi un po’ su come ci vestiamo, allora così sia». E non era la prima volta: il Daily Mail aveva già mostrato di avere la fissa per le gambe e le scarpe della May nei suoi titoli. 9 settembre 2106: «Remember the first rule of negotiating, Theresa... try not to reveal too much!», cioè «Prima regola dei negoziati… non rivelare troppo!». Facevano riferimento allo spacco della gonna che la May aveva indossato per la colazione con il presidente del consiglio europeo, Donald Tusk.

SESSISMO
Altro sessismo? «Why women become LESS bitchy as they get older», «Perché le donne diventano meno puttane quando invecchiano». «Women who want to succeed at work should shut up», «Le donne che vogliono avere successo sul lavoro dovrebbero stare zitte». Sempre Daily Mail. Chi sovrasta tutti è il Sun, tabloid inglese, quasi otto milioni di lettori, con la sua fortunatissima terza pagina, che ospita donnine discinte: articoli che danno i voti alle scollature delle attrici sui red carpet, ma non solo: un titolo da incidente diplomatico, «Go Kane», che suona quasi uguale a cocaine, è comparso il 3 luglio 2018, giorno della partita di Coppa del Mondo tra Colombia e Inghilterra. Un’allusione al principale export del Paese sudamericano. 16 ottobre 2013: un giornale del Kent, contea a Sud-est di Londra, Whitstable Times, titolò la lettera di un lettore «Take heed, all you homosexual sinner», «Fate attenzione, tutti voi peccatori omosessuali». Era scritto con ironia – prendeva in giro la lettera che invece parlava apertamente di «perversione» degli omossessuali – ma venne frainteso. Il Guardian, 28 giugno 2018, fu accusato dagli utenti dei social network di favoreggiamento della prostituzione minorile perché aveva titolato: «Migrant children selling sex to make Italy-France journey», ovvero «Bambini migranti vendono sesso per passare la frontiera Italia-Francia». Sembrava che i bambini potessero scegliere di prostituirsi; mentre i minori non scelgono, vengono costretti a concedersi, oppure stuprati. Ora, il Regno Unito ha avuto secoli di storia in cui ha imparato a garantire libertà di stampa (che sta in piedi – è da dire – grazie alla pubblicità e a un popolo che legge e quindi va in edicola). È la base del sistema democratico, ma è un lusso che un Paese come il nostro non vuole permettersi.

NELLA COSTITUZIONE
Basti pensare che nella Carta Costituzionale italiana, dove la libertà di stampa è tutelata all’articolo 21 comma 1, sono indicati limiti, i reati d’opinione e quelli contro la morale, che non sono previsti né dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, né dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Anche i giornalisti ci mettono del loro: più realisti del re, anche quando sono nella loro forma migliore, cadono facilmente nella paura di spiacere, e rovinano tutto. Un esempio: sull’Espresso di domenica scorsa, c’era un bellissimo articolo storico su Radio Radicale, sui suoi archivi unici e indispensabili per la vita politica dell’Italia, e sul rischi di chiusura dell’emittente a causa dei tagli ai fondi per l’editoria. La giornalista Susanna Turco, autrice del servizio, citava anche Avvenire e Manifesto fra le testate bersaglio dei tagli. Ma Libero niente, non pervenuto. Se fate un grande articolo sulla libertà di stampa e poi vi dimenticate dei giornali che non vi vanno giù, va beh, buona notte.