Corriere della Sera, 30 gennaio 2019
Cecchetti e la sua bizzarra performance
La storia dell’arte è piena di gente al bancone di un bar. A quello delle Folies-Bergère, dipinto da Manet e conservato alla Courtauld Gallery di Londra, viene voglia di ordinare subito una bottiglia di champagne e mischiarsi alla folla che spiamo attraverso lo specchio. In quello frequentato dai misteriosi nottambuli di Hopper, invece, non tutti avrebbero il coraggio di entrare. Ad Arte Fiera Bologna, nel tardo pomeriggio dall’1 al 3 febbraio, i visitatori potranno prendere parte a Love Bar, performance di Alex Cecchetti, artista nato a Terni 42 anni fa, oggi residente a Parigi, che ha già portato le sue opere al Centre Pompidou e al Palais de Tokyo, alle Serpentine Galleries e al Maxxi di Roma, ed è soprattutto autore di una ormai famosa visita guidata al Louvre, ma senza il Louvre. «L’idea era di far rivivere i capolavori del passato in uno spazio completamente vuoto», racconta. «Trasformavo l’idea di una statua greca, o di una caraffa, in oggetti veri, reali. L’immateriale che si materializza».
Cosa accade in Love Bar?
«È uno strano miscuglio tra teatro ed erboristeria, bar e farmacia. Un po’ come l’incontro con le streghe di Macbeth, ma loro offrivano potere, qui sono in gioco altre passioni. Chi ordina da bere, deve raccontare una storia d’amore, magari un sogno erotico oppure una delusione sentimentale. In cambio, avrà un cocktail o un infuso che io preparo con le erbe che ho raccolto nella campagna locale. Sono piante dalle proprietà magiche come il vischio, che già gli antichi mischiavano al vino per offrirlo alle donne. In Love Bar, alla fine, lo spettatore diventa attore, e le sue storie diventano bevande».
Prendendo in prestito la domanda che qualcuno faceva sempre nei cineforum di una volta: ma cosa vuole esprimere l’autore?
«In fondo anche l’aria che respiriamo viene dalle piante che fanno l’amore, l’atmosfera è intrisa dei pollini dei fiori… E la respirazione ci tiene in vita in modo ancora più profondo delle idee. Quello che vorrei dire è che solo mischiandosi l’essere umano sopravvive. Ed è interessante che una performance ludica, leggera come Love Bar oggi acquisti anche una valenza politica. Sarà per questo che in giro per l’Europa me la chiedono spesso».
Ma frequentando questo bar qualcuno si è mai innamorato?
«Sì, negli anni ho creato più di qualche coppia. Io però dopo la performance torno sempre in albergo da solo».
Nelle sue opere c’è più filosofia o ironia?
«Penso che un buono scherzo derivi sempre dalla conoscenza profonda dell’oggetto osservato. Lo scherzo è un’arma potentissima, perché permette di vedere le cose sotto una luce nuova, come fosse la prima volta. E a dispetto della tragedia, io penso che nulla sia più pericoloso per il potere di un sorriso aperto. Centinaia di sorrisi a 32 denti bianchi nel buio di una sala fanno molta più paura delle lacrime».
Love Bar è uno strano miscuglio tra teatro e erboristeria. Chi ordina da bere deve poi raccontare una storia d’amore o un sogno
Porta la sua opera a una fiera. Non la colpisce che nessun collezionista potrà mai appenderla a un muro di casa?
«Se la bevono, però. Molti degli oggetti che creo non hanno bisogno di spazi fisici per essere custoditi, e non hanno un peso in grammi. Ma le assicuro che sono assolutamente reali».
Ammetterà che la notizia della sua morte, diffusa in una sua biografia nel 2015, fosse però una fake news, o almeno fortemente esagerata?
«Ma io sono un fantasma che si materializza».
È quello che accade nel suo spettacolo alle opere del Louvre. Come le è venuto in mente?
«Ero a Londra, non sapevo cosa fare, il Louvre mi mancava e allora ho deciso di portarlo con me. Se si hanno le cose in testa, non serve altro per renderle vere».
Nella perfomance «Cetaceans» però ha utilizzato un autentico coro polifonico, con un soprano, un tenore e un basso.
«Sì, volevo riprodurre su un palco il suono delle balene, che hanno una frequenza molto vasta e possono produrre anche note diverse allo stesso tempo, come degli accordi naturali. Sono partito dalla registrazione accurata del loro suono naturale, l’ho trasformato in uno spartito e infine l’ho riprodotto attraverso le voci umane».
E cosa voleva dire l’autore?
«Volevo fare un concerto per gente che si addormenta. Tutto era nato perché ero andato a un concerto con degli amici, e avevo preso sonno: gli altri mi avevano criticato, ma io avevo passato una serata molto piacevole. Secondo me addormentarsi è un ottimo modo di apprezzare la musica, e il suono delle balene da questo punto di vista è perfetto».