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 2019  gennaio 29 Martedì calendario

Duemila adottati ora adulti in cerca di genitori naturali

Il logo è la doppia elica del Dna che si intreccia con un albero. La biologia che ha bisogno delle sue radici: quelle umane, quelle famigliari. Anna Arecchia è la presidente del Comitato per il diritto alle origini biologiche, un sorriso contagioso e la calma forte di chi combatte una battaglia che ha provato sulla propria pelle. Negli ultimi anni circa 2mila figli adottivi hanno bussato alla porta di Anna, le hanno chiesto aiuto. Per cercare i loro genitori biologici, per ritrovare un legame perso negli anni. Le ragioni, alla fine, non contano nemmeno: sono storie quotidiane quelle che racconta Anna, vicende drammatiche ma anche di amore. E di ricongiungimento. «Quando succede è una grande emozione», specifica. Anche perché per farlo accadere tocca passare in un marasma di carte bollate e inghippi burocratici, archivi spesso lacunosi e difficoltà legate al tempo che passa. In Italia ci sono oltre 400mila cittadini non riconosciti alla nascita e il numero cresce di anno in anno. Molti di loro neppure sanno della possibilità di accedere alle informazioni che li riguardano.

PROBLEMI GIURIDICI
«La prima decisione della Corte Costituzionale che ha aperto questa strada è del 2013», continua Anna. Parla con un leggero accento napoletano, la voce simpatica. «Da allora sono state presentate 2mila istanze ai tribunali per i minorenni di tutto il Paese e nel 65% dei casi i genitori biologici hanno rimosso l’anonimato». Cioè due “re-incontri” su tre sono andati a buon fine. «Non sempre accade, chi intraprende questo percorso ha in media 50 anni, sono decisioni che ci portiamo dentro, che ci logorano. Una volta è successo che la ricerca sia arrivata a una svolta, purtroppo, troppo tardi: la madre che si cercava era deceduta nel frangente in cui la stavamo rintracciando». Scherzi del destino, forse. Il problema è che l’ordinamento giuridico italiano non riconosce il diritto alle origini a tutto tondo. «Serve una legge chiara, il nostro appello va alla politica. Nella scorsa legislatura una proposta è stata varata dalla Camera, ma è mancato il passaggio in Senato e, quindi, oggi l’iter deve ripartire da zero. Per questo chiediamo alla Lega e al Movimento 5 stelle di darci una mano. Niente di più». «La mia richiesta è stata bocciata quattro volte prima di trovare un giudice che mi dicesse di sì», continua Anna. Non c’è rammarico nel suo tono, ma tanto coraggio. «Sono stata un po’ sfortunata nella vita», ci scherza su. «Ho avuto una famiglia adottiva fantastica, non mi hanno mai fatto mancare niente. Coccolata e amata. Quando è morto il mio padre adottivo ero ragazzina, covavo dentro il desiderio di conoscere la mia famiglia naturale ma non sono riuscita a dirglielo. Perché non volevo dargli un dispiacere. Pensavo che l’avrebbe presa male. È stato un peccato, perché era una persona bellissima e mi avrebbe supportata. In più era un carabiniere quindi, chissà, poteva pure aiutarmi nelle indagini». È solo qualche anno dopo, quando Anna ha perso anche la madre, che ha deciso di attivarsi. «Sul letto di morte lei mi ha detto che facevo bene, aveva paura che sarei rimasta sola». Quando i sentimenti vanno oltre la biologia: l’amore materno che guarda solo il bene del proprio figlio. E infatti Anna sola non c’è rimasta: oggi ha ritrovato suo padre e ben otto fratelli, con cui ha un rapporto sincero. «La mia madre biologica è morta prima che riuscissi a rintracciarla, in Canada. Ho sentito il bisogno di andare a trovare la sua tomba a Toronto. È stato un po’ come trovare un contatto che mi mancava».

PROCEDURA DIFFICILE
Tanti non ce l’hanno fatta: colpa degli archivi non completi di alcuni ospedali, delle cartelle che mancano, dell’orologio che va avanti per tutti. Inesorabile. Tanti altri invece sì. Ma la procedura è difficoltosa: la polizia giudiziaria fa le ricerche e riferisce al tribunale che chiama gli assistenti sociali, gli unici che possono contattare il genitore biologico. Se tutto va a buon fine si procede. «Succede a volte che le madri non sappiano di avere un figlio in vita. Magari è stato raccontato loro che era morto durante il parto, oppure sono state costrette a darlo in adozione e non si sono rese conto di aver firmato per il segreto sulle origini biologiche», chiosa Anna.