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 2019  gennaio 29 Martedì calendario

La crisi dei minatori: il Bitcoin vale meno dei costi per estrarlo

Una professione in via di estinzione, oppure nel bel mezzo di una salutare selezione darwiniana? Il crollo del prezzo del Bitcoin, che dai massimi di fine 2017 ha perso l’82%, sta mettendo con le spalle al muro tanti «minatori»: cioè coloro che, con giganteschi computer e con un enorme consumo di elettricità, “estraggono” i Bitcoin. Secondo uno studio di JP Morgan, questa attività non è più conveniente: per estrarre un solo Bitcoin si spendono infatti mediamente 4.060 dollari, costo superiore all’attuale prezzo della criptovaluta che ieri quotava a 3.414 dollari. Eppure altri dati, di Blockchain.com, sembrano mostrare che l’attività dei “minatori” si stia riprendendo dopo una certa debàcle nei mesi scorsi: la loro potenza computazionale a livello mondiale, dopo essere diminuita, ultimamente è infatti tornata a crescere. Questo significa che i “minatori” stanno tornando a “minare”. E che il Bitcoin, nonostante il tracollo del prezzo, ancora ha un esercito di persone che investono in super-computer e in elettricità per cercarli.
Per capire questi dati bisogna addentrarsi nel mondo della criptovaluta più famosa al mondo. I minatori sono nodi della rete che danno la potenza computazionale necessaria per finalizzare le transazioni in Bitcoin: di fatto, con giganteschi cervelloni elettronici in grado di fare calcoli altrettanto giganteschi, “estraggono” nuovi Bitcoin. Questa attività era molto redditizia quando il Bitcoin valeva oltre 10mila dollari: perché il costo per estrarre un Bitcoin era molto inferiore. Era una vera manna quando la criptovaluta valeva 18mila dollari e volava verso i 20mila. Ma ora i margini sono troppo bassi. Anzi: ormai in molte parti del mondo sono negativi. Questo perché, secondo i calcoli di JP Morgan appunto, costa 4.060 dollari “estrarre” (anche se questo termine tecnicamente non è esatto) ogni Bitcoin. 
Bene inteso: questo è il costo medio, che deriva in gran parte da quanto si paga l’energia elettrica in giro per il mondo. In alcuni posti è ancora conveniente lavorare come “minatore”: per esempio in Cina, dove il costo di estrazione – sempre secondo i calcoli di JP Morgan – è intorno ai 2.400 dollari. E questo è il punto, che ha evitato l’estinzione dei minatori. «Con il calo del prezzo del Bitcoin i minatori che non erano efficienti hanno dovuto spegnere le macchine, dato che nessuno continua a svolgere un lavoro come questo in perdita – osserva Ferdinando Ametrano, direttore del Digital Gold Insititute e professore di Bitcoin all’Università Bicocca di Milano-. Ma la competizione in questo campo è tale che probabilmente sono entrati in gioco nuovi palyer oppure alcuni di quelli che si sono ritirati hanno aperto in zone del mondo dove è più conveniente svolgere questo tipo di attività. E la ripresa della crescita di potenza computazionale conferma in maniera empirica che ci sono ancora margini di redditività». 
Per questo, a suo avviso, la potenza computazionale dei minatori nel mondo, dopo il forte calo, si sta riprendendo: perché il settore è probabilmente passato attraverso una selezione darwiniana. L’oro digitale, di certo, oggi brilla molto meno di un tempo. Ma forse è presto per dire che non brilla più.