Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 2019
Tutti i numeri della moda italiana
Alcuni numeri erano noti, almeno agli addetti ai lavori, anche grazie alla nascita, il 1° gennaio del 2018, di Confindustria Moda, la federazione che ha unito, dopo anni di avvicinamenti e trattative, le associazioni che rappresentano le diverse anime della galassia del tessile-moda-accessorio italiano (Tma). Un passaggio molto più che formale, perché la federazione guidata da Claudio Marenzi rappresenta l’intera filiera, dalla produzione e lavorazione delle materie prime ai prodotti finiti che vediamo sfilare o presentare durante le fashion week e le fiere di Milano o quelle di Firenze e Vicenza (per la gioielleria).
Presentazione a Roma e Bruxelles
Una galassia che solo ora trova una sua fotografia numerica precisa e molto articolata, grazie alla prima edizione de Lo Stato della moda. Lo studio viene presentato oggi a Milano e contiene la prefazione di Claudio Marenzi, contributi di Paola Bottelli e Francesco Morace e, per quanto riguarda la parte strettamente economica, le analisi di Marco Fortis, direttore e vicepresidente della Fondazione Edison, forse l’economista che con maggior coerenza e determinazione si batte da anni per raccontare i punti di forza del made in Italy e dei distretti industriali. «Lo studio sarà presentato in Senato nelle prossime settimane e, con una versione inglese, a Bruxelles», precisa Marenzi.
Ci sono ovviamente i numeri del Tma o sistema moda allargato (tessile, abbigliamento, pellicceria, conceria, pelletteria, calzature, ma anche oreficeria-gioielleria e occhialeria). Dati in parte noti, poiché relativi al 2017 (si veda ad esempio Il Sole 24 Ore del 20 settembre 2018), ma riaggregati e arricchiti. «I Governi precedenti e quello attuale hanno compreso l’importanza del settore – sottolinea Marenzi –. Non abbiamo mai chiesto misure assistenziali, ma di sostegno all’internazionalizzazione, ad esempio. Il 2018 si chiude in crescita, ma sappiamo quante nubi incombano sul commercio globale nel 2019 e dobbiamo fare ogni sforzo congiunto per contrastare la tendenza alla decrescita. Che non è mai felice».
Il fatturato 2017 del Tma è di 94,8 miliardi (+3,9% sul 2016), riconducibile a quasi 67mila imprese che danno lavoro a 583mila persone. Ciò che viene per la prima volta elaborato è il confronto interno con altri settori manifatturieri e quello esterno: dalla competizione con altri Paesi europei usciamo vincenti e, in molti casi, distanziando gli “avversari” in modo significativo.
Il valore aggiunto
Cruciale l’indicatore valore aggiunto, che necessita di una spiegazione tecnica, come riportato da Marco Fortis. Definiamo valore aggiunto la differenza tra il valore delle produzione di beni e servizi (fatturato) e il valore dei beni e servizi “intermedi”, quelli necessari per arrivare al prodotto finale. Dall’elaborazione di Fondazione Edison su dati Istat emerge che il Tma (escludendo oreficeria-gioielleria e occhialeria) è il quarto settore italiano per valore aggiunto dopo metallurgia, meccanica e alimentare, e primo nell’Unione europea, con il 35% del totale. Il contributo delle imprese italiane corrisponde a quello delle aziende tedesche, francesi, britanniche e spagnole messe insieme.
Vista la centralità del tema occupazione nell’attuale dibattito pubblico e politico, colpisce positivamente il peso del Tma: con quasi 600mila addetti, è il secondo settore italiano per numero di occupati dopo metallurgia e prodotti in metallo e domina lo scenario europeo, con percentuali che superano di molto quelle degli altri Paesi fortemente presenti nel Tma (Germania, Polonia, Portogallo e Polonia).
I primati per prodotti e settori
Interessante poi il “medagliere internazionale”, come lo chiama Fortis: su 1.004 prodotti del Tma, sono 372 quelli per i quali l’Italia si trova ai vertici mondiali per saldo commerciale con l’estero, per un totale di 34,7 miliardi. Le medaglie più preziose riguardano i prodotti per i quali il nostro Paese è al primo posto per saldo commerciale e tra questi ci sono: borsette a tracolla in pelle, occhiali da sole, scarpe in pelle con suola in cuoio, portafogli e cinture in pelle e tessuti pettinati in lana.
I numeri, relativi al 2017, dipingono un quadro molto positivo del Tma all’interno di un mondo globalizzato: l’Italia è prima per fatturato nella concia, seconda nell’occhialeria e pelletteria e nel Tma nel suo complesso, terza nelle calzature, quarta nella pellicceria e quinta nell’oreficeria-argenteria-gioielleria. Posizioni conquistate in decenni di evoluzione industriale e e distributiva e raggiunte grazie a visione e investimenti in innovazione.
Fattori sui quali si basa anche – conclude il rapporto – il potenziale dell’Italia nel “bello e ben fatto”: da qui al 2023 la crescita dell’export dall’Italia verso i Paesi avanzati potrebbe essere del 23 % (quasi 8 miliardi in più rispetto al 2017), mentre negli emergenti si arriverebbe al 40,2% (2,6 miliardi in più). Per categoria, sempre da qui al 2023, gli incrementi maggiori saranno quelli di pelletteria, calzature e occhialeria: verso i Paesi emergenti le percentuali saranno, rispettivamente, del 51,1%, 47,2% e 39,2%, mentre per i Paesi avanzati la pelletteria crescerà del 26,7%, le calzature del 25,7% e gli occhiali del 24,8%.