Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 2019
Meno alcol e vitigni resistenti: così cambia il vino europeo
Vitigni super resistenti e prodotti con minor alcol (se non alcol free) nel futuro del vino europeo. Ma anche più flessibilità – come richiesto a gran voce dall’Italia – sul sistema delle autorizzazioni all’impianto, le licenze che è necessario detenere insieme alla titolarità dei vigneti per produrre vino.
A tratteggiare la prossima riforma dell’Ocm vino è Joao Onofre Antas Goncalves, il portoghese che guida l’Unità Vino nell’ambito della Dg Agri alla Commissione Ue, incontrato a Firenze nei giorni scorsi al Forum vitivinicolo della Cia-Agricoltori italiani. «Le sfide future per il vino europeo sono due– ha spiegato Onofre –: da un lato la sostenibilità e dall’altro la creazione di nuovi mercati. Per migliorare l’impatto ambientale vogliamo puntare tutto sui vitigni resistenti (anche se proprio ieri a Bruxelles l’Italia insieme ai paesi produttori Ue ha bocciato la proposta di allargare il numero dei nuovi vitigni autorizzati ndr) mentre invece per favorire una differenziazione dei prodotti pensiamo che la strada da percorrere sia quella dei vini dealcolati, ovvero con una gradazione massima di 4-5 gradi se non del tutto senz’alcol».
I vitigni resistenti sono alcune varietà di vite messe a punto negli ultimi anni dalla ricerca (in Italia capofila è l’Università di Udine mentre sullo sviluppo in campo è coinvolta la coop friulana Vivai cooperativi Rauscedo). Non si tratta di Ogm ma di cultivar frutto della tradizionalissima tecnica dell’incrocio. Discendono da varietà internazionali come Cabernet, Merlot, Sauvignon o come le meno conosciute (ma comunque diffuse) Fleurtai o Soreli e che presentano una spiccata resistenza ad alcuni dei principali patogeni della vite: peronospora e oidio. Il ricorso a tali varietà consente di abbattere (fino all’80%) i trattamenti chimici nel vigneto con positivi effetti sia sulla sostenibilità che sui bilanci delle imprese: alcuni produttori si sono spinti a stimare minori costi legati ai trattamenti chimici nel vigneto per circa mille euro a ettaro.
«Si tratta di una grande opportunità per il vino europeo – aggiunge Onofre – che però si scontra ancora con qualche diffidenza. Pur se autorizzati in linea di principio questi vitigni super resistenti in Italia e Francia sono stati esclusi dalle Doc. Non si possono quindi utilizzare per produrre vini di qualità. La fetta di produzione che, proprio in Francia e Italia, è ormai maggioritaria. Noi vogliamo che a livello Ue cadano questi steccati. Vogliamo insomma vincere le resistenze sui vitigni resistenti».
L’altra sfida è quella del vino con meno alcol. La dealcolazione è un processo che parte dalla raccolta anticipata delle uve (prima della loro maturazione) e che mediante procedimenti come l’osmosi giunge a vini con minore contenuto alcolico se non del tutto alcol free. «L’obiettivo è creare – continua Onofre – nuovi segmenti di offerta che possano incontrare i gusti dei consumatori, in particolare giovani e al tempo stesso migliorare la reputation del prodotto vino troppo spesso equiparato su mercati come quelli del Nord Europa, addirittura ai superalcolici. Non vogliamo sostituire il vino come lo conosciamo da secoli con bevande senz’alcol, ma creare una nuova fetta di mercato».
Ma la riforma che ha in mente il responsabile dell’Unità Vino a Bruxelles non si ferma a vitigni resistenti e vino senz’alcol. «Il nostro imperativo sarà “squadra che vince non si cambia” – aggiunge -. Nel senso che la riforma del 2008 si è rivelata un successo. Abbiamo cancellato aiuti improduttivi come quelli alla distillazione per puntare su qualità ed export con ristrutturazione dei vigneti e promozione del vino all’estero. Il risultato è stato che il fatturato internazionale del vino europeo è passato dai 2 miliardi del 2008 ai 12 del 2018. Ma questo non significa che non siano necessari alcuni correttivi».
Il riferimento è soprattutto al sistema delle autorizzazioni all’impianto. In base alla precedente riforma, ogni anno, i paesi membri possono mettere a bando un plafond di nuove autorizzazioni nella misura dell’1% del vigneto nazionale. Una regola che in Italia consente di distribuire a chi ne fa richiesta oltre 6mila ettari l’anno di nuove licenze. Una dotazione che però si è rivelata enormemente inferiore alla domanda italiana di nuovi vigneti spinta dai due fenomeni degli ultimi anni: Prosecco e Pinot grigio.
«Non possiamo mettere in discussione – conclude Onofre – l’accordo politico alla base dell’1 per cento. Ma qualcosa la possiamo fare e cioè considerare come base di calcolo la superficie storica al 2015 ovvero al primo anno di applicazione della misura. In questo modo non si terrà conto del calo delle superfici vitate che si è registrato in questi anni in varie aree d’Europa come il Sud Italia. Non so se basterà a coprire le richieste dei produttori veneti e friulani ma, per ora, è il massimo che possiamo fare».