Corriere della Sera, 29 gennaio 2019
Il papà di Starbucks in campo. Trump lo insulta
WASHINGTON È il primo outsider miliardario pronto a correre per la Casa Bianca. Il fondatore di Starbucks, Howard Schultz, 65 anni, è uscito allo scoperto negli ultimi giorni, anche se le voci su una sua possibile candidatura risalgono al 26 giugno scorso, quando Schultz lasciò la guida della multinazionale del caffè. Domenica 27 gennaio, in un’intervista al programma 60 minutes e poi in un colloquio con il New York Times , l’ex imprenditore ha annunciato che nei prossimi tre mesi girerà, «in lungo e in largo», il Paese. Presenterà il suo nuovo libro, From the Ground Up , «salire partendo da zero», e soprattutto verificherà se esistono le condizioni per la sua sfida a Donald Trump. Schultz, in ogni caso ha già ha avviato le procedure burocratiche per potersi presentare in tutti e 50 gli Stati. Da indipendente, senza alcun collegamento con i democratici.
L’iniziativa dell’ex manager può scompaginare lo schema dello scontro tra il presidente in carica e uno dei numerosi pretendenti democratici. Non a caso l’uscita di Schultz è stata accolta con nervosismo da una parte e dall’altra. Ciascuno con il suo stile. Quello di Trump, che ha twittato: «Howard Schultz non ha il fegato per correre da presidente! L’ho visto a 60 minutes l’altra sera e sono d’accordo con lui che non è certo la “persona più intelligente”. Inoltre l’America ce l’ha già! Spero solo che Starbucks stia continuando a pagarmi l’affitto nella Trump Tower!»
Sul versante democratico Tina Podlodowski, presidente del partito nello Stato di Washington ha commentato: «Gli dico semplicemente una cosa: non farlo». I democratici temono che una lista indipendente toglierebbe solo voti ai progressisti, consegnando la vittoria a Trump.
«È una cosa a cui ero preparato – ha detto Schultz al New York Times — ma non è da americani dire che non si può fare». Ma c’è la possibilità di convergere nelle fila dei democratici? In fondo Schultz ha finanziato la campagna elettorale di Barack Obama e poi di Hillary Clinton. «Non credo – risponde ancora al quotidiano newyorkese – il partito si è spostato troppo a sinistra. Quando li sento promettere università e sanità gratuite per tutti, oppure un lavoro per tutti pagato dal governo, mi chiedo come si possano raggiungere questi obiettivi senza mandare il Paese in bancarotta, visto che abbiamo 21 mila miliardi di dollari di debiti».
Ma è ancora presto per fare le squadre. Nei prossimi tre mesi Schultz cercherà di capire chi emergerà dalla mischia dei democratici. Dovesse prevalere una figura più centrista, come l’ex vice presidente Joe Biden o forse anche il texano Beto O’ Rourke, i suoi spazi di manovra sarebbero oggettivamente più ridotti.
Per il momento l’imprenditore mette sul tavolo la sua storia, i suoi quarant’anni di lavoro e il suo patrimonio, stimato dalla rivista Forbes in 2,8 miliardi di dollari. Sposato, due figli, è nato a New York in una famiglia di origine ebraica senza grandi mezzi. È riuscito, comunque, a laurearsi, con una borsa di studio, alla Northern Michigan University.
Inizia a lavorare come venditore alla Xerox e nel 1979 è già il general manager di Hammarplast, azienda svedese specializzata in macchine da caffè. È la sua strada. Nel 1981 si sposta a Starbucks, una piccola rete di caffetterie di Seattle che in quasi quarant’anni trasformerà in una multinazionale con 28.720 punti vendita in 78 Paesi. Nel suo percorso c’è «molta Italia», come racconta l’imprenditore e finanziere Angelo Moratti che ha collaborato con lui: «Per la formula di Starbucks si è ispirato ai bar di Milano. Negli ultimi tempi ci tornava almeno quattro volte all’anno. È un visionario e quindi penso che possa riservare molte sorprese anche in politica».