Corriere della Sera, 29 gennaio 2019
Freida e le testimonial con la pelle sbiancata
I soldi non sono mai stati un problema, ha ammesso con onestà. Anche grazie al contratto piuttosto vantaggioso che siglò nel 2009 con L’Oréal, dopo il quale (ma bisogna contare il successo mondiale di The Millionaire, dove era la protagonista femminile) le si aprirono le prime file alle sfilate di moda, viaggi in First Class, vacanze pagate eccetera eccetera. Così si è dichiarata grata alla multinazionale della bellezza per i sette anni in cui ne è stata testimonial. Tuttavia un piccolo incidente, dal quale ha tratto insegnamento, c’è stato: nel 2011 L’Oréal finì sotto accusa per aver «sbiancato» troppo l’attrice e modella indiana Freida Pinto, che è ritornata sull’argomento con una lunga intervista al Guardian.
Da quella volta, Freida ha imparato che nei contratti con i marchi di bellezza bisogna mettere delle clausole precise per non farsi manipolare il viso. Cosa che lei ha preteso. E infatti, da allora, non le è più capitato di trovare il colore della sua pelle di un tono più chiara per vendere un fondotinta. Ai tempi, il gruppo industriale francese smentì categoricamente qualunque manipolazione, disse di aver lavorato solo con le luci, ma l’attrice è stata chiara con il giornalista Simon Hattenstone: «Sono sicura che lo abbiano fatto, quello non era il mio colore».
Il tema del whitewashing, che in realtà è quella pratica dell’industria cinematografica di impiegare attori caucasici per interpretare personaggi di un’altra etnia a unico beneficio del pubblico, si è riproposto pochi giorni fa a proposito dello spot pensato dallo sponsor Nissin, produttore di ramen istantanei, per la tennista numero uno del mondo Naomi Osaka, fresca vincitrice degli Australian Open. Nella campagna in versione manga, la tennista, che è figlia di una giapponese e di un haitiano, compare con i tratti somatici stravolti e con un nuovo colore della pelle (non più nero). Pioggia di critiche, tante scuse dal marchio e spot ritirato.
La rivelazione
Pinto: «Sono sicura che l’abbiano fatto, quello non era il colore del mio viso»
Sullo sbiancamento della pelle sono cadute molte altre aziende. L’Oréal è recidiva: nel 2011 in Inghilterra l’Advertising Standard Authority bloccò due campagne che avevano per protagonista Julia Roberts (innaturalmente chiara e luminosa) e Christy Turlington (senza macchia e senza ombra). La multinazionale si limitò a dire che era ricorsa soltanto a correzioni post produzione. Nel 2017 Nivea inciampò nell’irrealistico candore dell’ex Miss Nigeria Omowunmi Akinnifesi e così pure Dove, che addirittura fece cambiar pelle a una modella nera che usciva dalla vasca da bagno bianca (sui social si beccò un bell’hashtag #boycottdove).
Beyoncé si sbiancò con L’Oréal (perseverare è diabolico!) e poi da sola, nel servizio di lancio del disco 4. La rivista francese Elle schiarì e smagrì Gabourey Sidibe, protagonista del film Precious (ma sul fronte dimagrimento la più clamorosa resta Demi Moore che nel 2009 perse un pezzo del fianco sinistro sulla copertina del magazine W).
Per scelta
C’è anche chi ha deciso di sembrare più chiaro come la rapper Lil’ Kim o l’attrice J.Lo
C’è poi chi ha deliberatamente scelto di sembrare più chiaro. Lo ha fatto la rapper Usa Lil’ Kim in una serie di selfie su Instagram, per la quale si è presa una valanga di insulti. Pare che l’attrice J.Lo non sia immune dal ritocco schiarente. L’ex campione dei Chicago Cubs Sammy Sosa, nato a Santo Domingo con sangue haitiano, oggi per i detrattori è uguale spiccicato a Jay Leno. E come dimenticare Michael Jackson? Ma non si spara sulla Croce Rossa. E poi lui non c’è più.