Fu Peter Schöffer, che aveva stampato la Bibbia per Gutenberg, a promuovere i libri a mezzo stampa. Un elenco di diciannove titoli su un foglio è il primo esempio di pubblicità libraria. Siamo nel 1469. Prima dei diciannove titoli c’è un invito specifico rivolto agli interessati: vengano a casa mia a vederli. È una notizia. Théofraste Renaudot, racconta Borsani, era un medico nato a Loudun nel 1586, proprio il villaggio dove fu bruciato vivo il parroco Grandier accusato di satanismo. Renaudot aveva inventato un Bureau d’Adresse che in primo luogo intendeva aiutare i poveri fornendo ai più abbienti i loro indirizzi, ma in seguito si apriva «a tutte le persone che vorranno vendere, acquistare, affittare, permutare, prestare, farsi prestare, apprendere, insegnare…».
Insomma nasceva un luogo dedicato alla piccola pubblicità e in seguito nasceva un giornale, sempre ad opera di Renaudot, La Gazette, a cui collaborarono anche Richelieu e Luigi XIII. Da allora in poi molti giornali ospitarono la pubblicità, che intanto andava raffinando le sue armi. Bisogna aspettare il Settecento, cioè il secolo dei Lumi, per trovare un’impresa all’altezza della Bibbia di Gutenberg: l’Encyclopédie, al cui progetto Diderot stava lavorando quando fu arrestato il 25 luglio del 1749 per un pamphlet in cui scriveva: «Se volete che io creda in Dio, bisogna che me lo facciate toccare». Per lanciare l’opera che avrebbe comportato la stesura di trentacinque volumi in ben ventidue anni, Diderot preparò un Prospectus che illustrava l’iniziativa e analizzava le opere concorrenti. Il Prospectus fu stampato in 8.mila copie e il primo volume dell’Encyclopédie ebbe al suo apparire 1002 sottoscrizioni. Siamo molto lontani dalle cifre dei bestseller dei nostri giorni, ma, è un’ovvietà, non è affatto detto che libri importanti raggiungano una tiratura abbastanza importante.
Borsani dedica spazio alla pubblicità murale, poi sostituita da manifesti non più incollati, ma portati in giro da uomini-sandwich. Pubblicizzare un solo libro attraverso affiche su scala nazionale è comunque troppo costoso: i manifesti vengono dunque riservati alle Fiere come il Salon du Livre di Parigi o la Fiera di Francoforte.
C’è un manifesto per la Fiera del Libro de Zamora del 2017 dove si ricorre al sesso (una donna nuda di spalle) per attrarre l’attenzione. Anche la pubblicità dei libri si evolve, profittando dell’esperienza futurista sul piano artistico, ma talvolta precipitando nel cattivo gusto.
Un bell’esempio di pubblicità popolare è quella per Via col vento uscita sul Saturday Evening Post il 5 dicembre 1936. A soli sette mesi dall’uscita, il romanzo di Margareth Mitchell aveva già toccato il milione di copie. Poi, nel ’39, arrivò il film e si moltiplicarono i gadget: bambole, gioielli, set di manicure, targhe, matite… Se la storia della letteratura fosse la storia dei bestseller, in Italia dovremmo privilegiare Guido Da Verona, che vendeva anche trecentomila copie e buttar via Gadda che col Castello di Udine arrivò con la prima edizione appena a mille copie. Talvolta sono stati gli scrittori ad essere utilizzati come testimonial in campagne pubblicitarie: De Chirico (che era anche scrittore) per Carpano, Mario Soldati per il marsala Florio, Hemingway e Steinbeck per la birra Ballantine.
Si fanno spesso campagne per sostenere il libro, con esiti incerti perché un libro non vale l’altro e dunque indurre a leggere punto e basta non vuole dire niente.
D’altra parte, come ha notato Roberto Calasso, un editore dovrebbe pubblicizzare trecento diversi prodotti l’anno, mentre un industriale dei profumi può investire in un prodotto solo.
Industria atipica, quella dei libri ha adottato le tecniche del marketing e assunto, con esiti alterni, capi azienda che magari non leggono libri. Il tentativo di fare un bel colpo programmando — siamo in Francia nel 2001 — l’uscita di un seguito dei Miserabili di Victor Hugo commissionato a uno scrittore si è rivelata un gran fallimento.
Qualcosa vorrà pur dire se accanto ai colossi del libro continuano a nascere piccoli editori cui tocca magari in sorte un caso Ferrante, ma che certo non potevano prevederlo né costruirlo ad arte.
Belli parlava di "birbioteche" sospettando le astuzie invisibili dei libri, tant’è che in un celebre sonetto il prete, alla Missione, predicava: «Li libbri nun zò robba da cristiano / fiji pe’ carità nu li leggete». Ci sarebbe da aggiungere al bel libro di Borsani un capitoletto dedicato alla pubblicità involontaria che ai libri hanno fatto le mille proibizioni di leggerli: proibizioni famigliari o scolastiche per libri ritenuti da adulti, proibizioni religiose con il celebre indice dei libri proibiti abolito, ma non del tutto, negli anni Sessanta del Novecento.
Karl Kraus aveva addirittura protestato perché i nazisti non bruciavano i suoi libri, procurandogli una bella pubblicità. Una pubblicità incandescente, verrebbe da dire, altro che recensioni.