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 2019  gennaio 29 Martedì calendario

L’Africa si spacca in due

Alfred Wegener rese nota la sua teoria nel 1912, rivelando al mondo che i continenti non sono immobili, ma si muovono costantemente, sollecitati da forze provenienti dal sottosuolo. Morì senza la soddisfazione di vedere la sua teoria confermata dall’intellighenzia scientifica. Tuttavia, ancora oggi, è grazie ai suoi studi che comprendiamo fenomeni come quello verificatosi recentemente a pochi chilometri a nord di Nairobi, in Kenya.
Una famiglia è riunita per cena e all’improvviso qualcosa si smuove sotto i suoi piedi. Pochi istanti e i commensali si trovano separati in casa da una voragine profonda 15 metri e larga una ventina. Non ci sono feriti, ma gli occhi di tutti sono a dir poco confusi: la casa è stata sventrata e non hanno la più pallida idea di quel che sia successo. Lo spirito di Alfred Weneger e i geologi sì: la frattura è il risultato di un meccanismo geologico in atto da una trentina di milioni di anni e che andrà avanti per altrettanti prima di trasformare l’Africa in una realtà continentale del tutto diversa da quella odierna. Il riferimento è alle placche tettoniche, zolle rigide della crosta terrestre che interagiscono fra di loro, scontrandosi o allontanandosi.
Sono otto quelle principali, e in corrispondenza della placca africana, c’è quella somala che si sta via via allontanando. Un movimento costante, che prelude alla formazione di un nuovo oceano, analogo a quello Atlantico. Il cuore della Terra ribolle e il calore si espande in superficie tramite movimenti convettivi, a loro volta alimentati dal nucleo, dove le temperature arrivano a 4mila gradi centigradi. L’apoteosi del dinamismo terrestre è evidente proprio in questo punto del Continente Nero, dove possono consolidarsi quadri tettonici con la formazione improvvisa di voragini nel sottosuolo, anche in assenza di attività sismica. Benché le cose, in quest’ultimo caso, non siano andate esattamente così. 
La voragine in realtà c’era già, ma era nascosta da spessi strati di materiale vulcanico, proveniente probabilmente dalle eruzioni del vicino Longonot, stratovulcano a sud est del Lago Naivasha. Le fessurazioni del terreno sono state riempite negli anni da ceneri e lapilli, tanto da omogeneizzare la superficie, che, tuttavia, è rimasta suscettibile alle forti precipitazioni. Può infatti bastare un periodo di piogge intense per riportare in evidenza il problema, attraverso processi di erosione: l’acqua penetra negli anfratti rocciosi, rimettendo in luce spaccature formatesi milioni di anni fa. Non a caso la Rift Valley, che segna l’Africa per 3.500 chilometri, coinvolgendo Somalia, Etiopia, Kenya e Tanzania, esiste da prima che l’uomo potesse fare la sua comparsa sulla Terra. Che per pura coincidenza mosse i primi passi proprio in questa area del pianeta. 
Sono ancora note le gesta del paleoantropologo Donald Johanson e della sua équipe quando al suono di Lucy in the sky with diamonds, (celebre canzone dei Beatles), venne scoperta la mamma di tutti noi: una femmina di Australopithecus afarensis, vissuta in Etiopia 3,2 milioni di anni fa. Da lei è probabilmente partito il ramo evolutivo che ha dato origine prima all’Homo habilis, poi all’erectus, all’heidelbergensis e quindi al Cro-Magnon, la nostra specie. Dove visse Lucy, la terra si sta letteralmente spaccando in due, preambolo alla formazione di un nuovo continente. Sarà quello che si svilupperà fra 30-40 milioni di anni, e che finirà per spingersi verso l’India, modificando in modo irreversibile i connotati dell’Oceano Indiano.
Le placche possono essere di due tipi: divergenti e convergenti. In questo caso il movimento è divergente. Allontanandosi, Africa continentale e placca somala, determinano un affossamento, che finirà per ospitare una dorsale oceanica; in pratica, una catena montuosa sottomarina da cui fuoriesce magma, determinando la formazione di nuova crosta. Antitesi alla zona di subduzione (come quella che sorge in corrispondenza della Fossa delle Marianne, il punto oceanico più profondo del globo), dove la crosta terrestre viene invece riciclata, per via di processi geologici che portano all’approfondimento di masse rocciose che finiscono per rientrare nel ciclo litogenetico. 
Del resto è noto che la Terra non è mai stata uguale a sé stessa. A 290 milioni di anni fa risale la Pangea, il super continente che interessò la Terra prima di spezzarsi in Gondwana e Laurasia e gettare le basi per la realtà attuale. Ma ancor prima, un miliardo di anni fa, ci fu Rodinia, un’altra imponente massa continentale, che segnò le sorti del mondo per 400 milioni di anni. La grande frattura africana emersa in questi giorni non fa che confermare questa tendenza del pianeta a creare super continenti che poi si separano, in un perenne gioco di forze e frizioni manovrate dal nucleo e dal mantello.
E domani? Sarà lo stesso. Pangea Ultima sarà infatti il nuovo supercontinente che si formerà fra 250 milioni di anni quando Africa e Sud America si saranno allontanate così tanto da indurre allo scontro Nord America e Asia, sancendo la nascita di un nuovo immenso oceano.