La Stampa, 29 gennaio 2019
Il Fondo Blackstone accusa Cairo
La causa presentata davanti alla Corte Suprema di New York dal fondo di investimenti Blackstone contro Rcs, per la disputa sulla proprietà della sede storica del «Corriere della Sera», è entrata nella fase decisiva. Le due parti infatti hanno presentato i loro documenti al giudice Saliann Scarpulla, che ora dovrà stabilire se ha la giurisdizione per procedere. «L’amended complaint» di Blackstone firmato dall’avvocato Aaron Marks, che «La Stampa» ha ottenuto, accusa la Rcs e il suo presidente Urbano Cairo di aver mentito sulla sequenza degli eventi, e di aver fatto ricorso ad un arbitrato a Milano non previsto dal contratto. Quindi chiede di condannarli a pagare i danni.
Nel novembre del 2013 Rcs aveva venduto i tre stabili di via Solferino, via San Marco e via Balzan alla Blackstone per 120 milioni di euro, riaffittando poi una parte dei locali. La compagnia americana aveva investito 17 milioni per ristrutturare gli spazi rimasti vuoti, e li aveva affittati a Ubi Banca, Loro Piana e Cdp. Il 10 luglio scorso Milano Finanza ha scritto che Blackstone stava vendendo gli immobili ad Allianz per 250 milioni di euro, e tre giorni dopo gli americani hanno ricevuto una lettera dal presidente di Rcs, che dichiarava nullo l’atto del 2013. Il 9 novembre la casa editrice ha chiesto un arbitrato a Milano per risolvere la disputa, accusando il fondo americano di aver commesso il reato di usura, approfittando delle difficili condizioni in cui versava la casa editrice. Il 20 novembre Blackstone ha risposto presentando un «complaint» alla Corte Suprema dello Stato di New York, definendo le azioni di Rcs «spurious, malicious and extortionate», ossia spurie, maliziose e da estorsione. Quindi ha domandato al giudice di riconoscere la validità dell’acquisto, e condannare la casa editrice a pagare almeno 500.000 dollari di danni, che nel frattempo però potrebbero essere saliti a oltre 100 milioni.
All’inizio di gennaio Rcs ha presentato una «motion to dismiss», in cui chiede a Scarpulla di non aprire il procedimento perché non ha la giurisdizione. Mercoledì scorso Blackstone ha risposto con un documento di 32 pagine, in cui ribadisce che New York è la sede competente perché è il luogo dove è maturata la trattativa e dove si sono materializzati i danni, e approfondisce le sue accuse. Oltre a confermare la validità della transazione, che Rcs assistita da autorevoli consiglieri aveva giudicato congrua rispetto alle condizioni del mercato, Marks rivela che durante il negoziato Blackstone aveva informato la casa editrice che il suo investimento aveva un’orizzonte di cinque anni, e quindi presumibilmente avrebbe cercato di rivendere le proprietà nel 2018. Cairo ha sostenuto che già nel 2013 aveva criticato la validità dell’operazione, ma l’avvocato replica che aveva solo fatto obiezione sui tempi a causa delle condizioni del mercato. All’accusa di aver preso un’iniziativa da estorsione per boicottare la vendita ad Allianz, il presidente di Rcs ha risposto che aveva informato Blackstone della non validità della vendita già a marzo del 2018, cioè prima della pubblicazione dell’articolo di Milano Finanza. Secondo Marks, però, nessuna comunicazione era stata inviata al fondo in quella data. Blackstone invece aveva scritto a Rcs l’8 novembre 2018 per avvertire che avrebbe fatto causa, se entro il 13 dello stesso mese Cairo non avesse rinunciato alle sue richieste. Il giorno dopo però la casa editrice aveva presentato la richiesta di arbitrato a Milano, per bruciare i rivali ed essere la prima ad avviare un procedimento. L’arbitrato tuttavia non avrebbe ragione d’essere, non solo perché la trattativa e il danno sono avvenuti a New York, ma anche perché «nella SPAs per il trasferimento delle proprietà non c’è una clausola per l’arbitrato». Su queste basi, Marks ha presentato sette «count», ossia accuse, chiedendo al giudice di confermare la validità della transazione del 2013, e condannare Rcs a pagare i danni causati dalla sua condotta, più danni punitivi da determinare durante il processo. Ora la decisione passa a Scarpulla, una magistrata molto esperta, che nel caso più famoso gestito di recente, aveva stabilito il 23 novembre scorso che la causa presentata dall’Attorney General di New York Underwood contro la Trump Foundation poteva procedere. Poco dopo il capo della Casa Bianca ha chiuso la sua Foundation.