Libero, 28 gennaio 2019
La versione di Morgan. Intervista
Marco Castoldi, in arte Morgan, è tornato in tv in grande spolvero, alla guida di un format innovativo e trascinato (dai suoni un gruppo che pare una benedizione per chiunque ne parli: i Queen. Freddie – Morgan racconta i Queen, in onda la scorsa settimana su RaiDue, è stato visto da 1 milione e mezzo di telespettatori, con il 6,8% di share.Morgan, come spiega il successo del programma?
«C’era voglia di una cosa diversa ed è stata una bellissima idea mandare un concerto integrale perché ormai, per i tempi stretti televisivi, ci si è abituati a spezzettare tutto. Questa frammentazione coinvolge non solo il mondo della tv, ma tutto il mondo dell’arte. Un tempo c’era l’album come concetto di ascolto della musica; adesso c’è la canzone, e anzi non si ascolta neppure più tutta, si passa a quella successiva, si “skippa”. In un’epoca di frammentazione trovare una proposta così integrale e approfondita è una rarità e quindi credo che essa si sia stagliata rispetto alle altre proposte».
Cosa risponde a chi l’ha criticata per l’esecuzione di alcuni brani dei Queen?
«Pensare che le canzoni si possano rovinare è un atteggiamento non musicale. Gente così forse ritiene che le cose debbano stare nelle vetrinette, chiuse a chiave. Invece i giocattoli, più sono belli, più il bambino vuole giocarci. Io sono uno dei pochi che suona Bohemian Rhapsody completamente arrangiata per pianoforte e voce. E tutte queste persone che criticano vorrei vedere se sono capaci di trascrivere Bohemian Rhapsody. Secondo me sono i soliti chiacchieroni: è come quando ci sono i campionati mondiali di calcio e tutti sanno essere il coach».
Il film Bohemian Rhapsody l’ha visto?
«Sì, l’ho trovato appassionante, è un film per tutti che non affronta le tematiche più controverse, legate alla malattia, alla morte di Mercury; stranamente poi il chitarrista e il batterista, che sono i produttori del film, appaiono come delle figure meravigliose, disegnate in modo perfetto. Lo avessi prodotto io, mi sarei incuriosito alla relazione musicale tra Freddie Mercury e David Bowie. Nel film poi non è affrontato molto il Mercury artista, c’è il Mercury figliol prodigo, che se ne va, poi ritorna, il Mercury che apprezza i vestiti. Però il Mercury che impara a suonare il piano dove sta? Per scrivere e arrangiare come faceva lui, uno deve starsene 24 ore sulla musica. Mica se ne sta a fare i festini e a dormire sul divano, uno che scrive Bohemian Rhapsody».
Se ora le chiedono di tornare in tv, dice sì?
«Non sappiamo ancora come andrà, però è stata una bella esperienza e, secondo me, è una bella formula. La tv mi sta bene e, se è così, mi piace molto».
Se invece la chiamano come giudice di un talent?
«Mah, non lo so, dipende da come. Est modus in rebus (c’è un modo in tutte le cose, ndr). Intanto sono il giudice al mondo che ha vinto più talent: 5 su 7. Sono nel guinness dei primati».
Quando si rimetterà all’opera con un nuovo album?
«Ho in mente progetti più interessanti rispetto al concetto banale di disco. Il disco non esiste più come idea. Oggi se uno vuole un disco mio, deve venire a casa mia, indossare una benda, mettere la mano dentro un sacco dei file, tirare fuori dieci cose a caso, e quelle lì saranno il suo album, ma in quel momento. Domani ne arriva un altro e il suo album sarà un altro. Siamo arrivati al punto di distribuire una musica che sia montabile e smontabile, componibile e scomponibile, e alla quale il pubblico contribuisce: è come se io ti do una scatola che tu monti come vuoi».
Sanremo lo guarderà?
«Non lo posso dire».
Ma la vedremo di nuovo sul palco?
«Non posso dirlo. E così ho detto tutto».
Ha difeso Baglioni sui migranti. Accoglierebbe mai un profugo a casa sua?
«Sicuramente, la solidarietà è importante. Però è anche importante che non si faccia solo del pietismo e della beneficenza ma che si legiferi, si prendano delle decisioni. Cioè, non si risolve la fame nel mondo dando la carità al mendicante».
Ha visto Adrian di Celentano?
«Mi sono piaciute alcune cose come la scena del confessionale con Frassica. Però lo spettacolo era troppo sofisticato, troppo intellettualoide. Celentano è uno che sa comunicare a livello di massa, ma non è un filosofo, non è Severino. Perché deve fare così? Anche perché di cantanti come lui ce ne sono pochi, è uno dei più grandi di tutti i tempi. Ma qui ha fatto troppa metacomunicazione. E lui non è Pasolini, non è Indro Montanelli. Cioè, non è un intellettuale, è una rockstar. Invece vuole andare lui a fare il filosofo: è troppo concentrato su di sé, al punto che fa un fumetto dove lui è giovane. È per soddisfare la sua vanità, il suo narcisismo che fa questo. Ma non importa a nessuno di vederlo giovane, di vedere Celentano che fa l’artista concettuale, come se fosse Marcel Duchamp».
Lei, durante il premio Tenco di cui è co-conduttore, ha difeso la capacità storica della sinistra di fare cultura. La sinistra di oggi ne è ancora in grado?
«La sinistra? Deve trovare un po’ di forza… Ah, com’è che si chiama oggi il partito della sinistra? È ancora il Pd? Chiedo se c’è».
Sull’altro fronte è appena tornato in campo Berlusconi.
«Berlusconi deve venire con me a cantare un pezzo di Tony Renis, che fa così: “Vorrei vedere un altro al posto mio, ma no non ne parliamo, il posto è mio”. Berlusconi canta molto bene. È un ottimo intrattenitore, uno dei migliori vocalist perché, se si considera che la vocalità è la capacità di comunicare e attirare a sé, di convocare, lui è il grande “vocatore”. Quindi gli dico: se lui cantasse, unirebbe tutti, avrebbe il consenso dei comunisti e sarebbe l’uomo più felice del mondo. E passerebbe per un uomo di cultura».
A Salvini lei ha consigliato di approfondire De André. E lui le ha risposto: «Mi mancavano le lezioni di vita di Morgan». Se glielo chiedesse, gli darebbe ripetizioni musicali?
«No, a Salvini non voglio dare nessuna ripetizione. Anzi, dispiace molto che abbia frainteso per il titolo esagerato di un articolo. Io non ho dato nessuna lezione di vita a Salvini, e lungi da me farlo. Ho solo detto: visto che lui si è stupito della frase detta da Baglioni sui migranti, gli consigliavo di ascoltare un suo disco».
Ma lo voterebbe mai?
«No, cosa significa votare Salvini? Mica fa i talent show. Per me il concetto di voto è il televoto. Anzi, lancio l’idea di fare il televoto per la politica. Vedrei una serata finale dove ci sono Berlusconi, Grillo, Sgarbi e Salvini. Ovviamente Salvini con il tipico imbarazzo di chi dice: sono in mezzo a degli artisti. Per me vincerebbe Sgarbi perché quanto a retorica ci sa fare e piace più alle donne. Ma forse li voterei tutti, anzi sa cosa farei? Ricostruirei il pentapartito, fatto da loro però».