il Fatto Quotidiano, 28 gennaio 2019
Caso migranti: lezione di Virgilio per il ministro
Qualche giorno fa, su una rete televisiva nazionale, il ministro della giustizia ha manifestato con veemenza tutta la sua indignazione contro chi qualifica addirittura naziste, evocando così le deportazioni dell’Olocausto, le politiche sui migranti del governo italiano. In effetti, forse il confronto è eccessivo, eppure il ministro dovrebbe ricordare sia la recente storia italiana e il fascismo, nervo ancora scoperto di una nazione, sia il fatto elementare che i diritti o sono universali o diritti non sono. A proposito dei casi Diciotti e Sea Wacht, invece, al ministro della paura, che proviene da studi classici girerei un banale compito per casa, cioè tradurre, mentre magari sbocconcella una fetta di pane e nutella, questo brevissimo passo latino: “Huc pauci vestris adnavimus oris. Quod genus hoc hominum? Quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? Hospitio proibemur harenae; bella cient primaque vetant consistere terra. Si genus humanum et mortalia temnitis arma, at sperate deos memores fandi atque nefandi.” Per togliere dall’imbarazzo il ministro riportiamo anche una traduzione: “Di qui navigammo in pochi alle vostre rive. Che genere d’uomini è questo? Che barbara patria permette quest’uso? Ci negano perfino il rifugio della spiaggia; muovono guerra e vietano di fermarci sulla vicina terra. Se disprezzate il genere umano e le armi dei mortali, almeno temete gli dèi, memori del bene e del male”. Si tratta di Virgilio, una grande voce antica, e del poema nazionale della Roma augustea (Eneide 1.538-543), in cui è espressa l’irrefrenabile indignazione verso la violazione di un antichissimo principio generale di civiltà umana. E non c’entrano né i fascisti né i nazisti.