Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  gennaio 28 Lunedì calendario

«Dal campo alla panchina: così Allegri è riemerso dalla polvere»

E il destino, si dice. Ad Agliana, Massimiliano Allegri, arrivò su consiglio di un giornalista locale, Enzo Cabella, tifosissimo degli “arancioni” della Pistoiese. Gianni Doni, all’epoca direttore sportivo e, oggi, presidente dell’Aglianese: “Eravamo in serie D, il patron Silvano Pieralli titolare di un’azienda di filati, voleva provare a vincere il campionato e così diede l’ok per due ex professionisti: Scugugia, già difensore del Cesena, e appunto Allegri. Cabella garantì per lui, dicendo che era forte e che, soprattutto, aveva bisogno di una mano”.
Il millennio era appena iniziato, anno 2001. Max era alla fine di una carriera dignitosa, ma era rimasto intrappolato in quell’Atalanta-Pistoiese di coppa Italia che, ad agosto 2000, fece registrare un’impennata anomala di scommesse sul parziale/finale: 1 primo tempo, X finale. Giusto quello che successe: vantaggio di Doni (Cristiano), pareggio nella ripresa di Bizzarri per i toscani. Finale: otto deferiti, tre dell’Atalanta (Banchelli, Doni e Siviglia, poi anche altri) e cinque della Pistoiese (Aglietti, Amerini, Bizzarri, Lillo e, appunto, Allegri).
In primo grado, marzo 2001, vengono condannati in cinque ad un anno di stop: Siviglia, Zauri, Gallo, Aglietti e, appunto Allegri (Doni venne prosciolto subito, salvo – anni dopo – confermare in un’intervista che la gara era stata truccata e che tutti sapevano). A nulla valse, per l’attuale tecnico juventino, ammettere di essere sì uno scommettitore quotidiano, ma solo di cavalli. A maggio il ribaltone, tutti prosciolti.
Col morale sotto i piedi, Allegri aveva scarse opzioni davanti. Quando gli venne proposta questa squadra piccola ma ambiziosa, a 100 chilometri da Livorno. Lui accettò di corsa. Doni: “Gli davamo poco più di 1000 euro al mese, benzina compresa”. Dubbi? “Nessuno, una persona squisita, da metterci le mani sul fuoco”. La squadra non era male: “Avevamo Giovanni Rossi come bomber, calciatori come Minieri, Bonavita, Riberti. Allegri e Scugugia permisero il salto di qualità”.
L’allenatore era Francesco Buglio, uno “di categoria”, già vice di Lippi a Pistoia, nel 1987. “Non andavano molto d’accordo. Max era un allenatore in campo, aveva personalità e una capacità di leggere la partita impressionante. Col senno di poi, direi che era già tutto scritto e che bisognava solo sapere leggere. Un giorno, a San Lazzaro di Savena, Max ce l’aveva con il suo compagno Giunta, che doveva coprirgli le spalle, ma correva poco. Si voltò verso Buglio e gli disse: ‘Lo levi te o lo levo io?’ Il mister non la prese proprio bene”. Quando Doni e Buglio si incontrarono, nei tre lustri successivi, non parlarono di Max: “Non abbiamo mai fatto il minimo cenno ad Allegri e alla sua storia, ho paura anche di chiederglielo”.
Arrivò la C2, cioè il professionismo. Verso la fine del campionato patron Pieralli comunicò di voler lasciare, troppe spese pr giocare in quella categoria. “Pensammo anche ad Allegri come allenatore-giocatore, per risparmiare, ma non ci sembrò molto convinto”.
In estate, Pieralli salutò per davvero. “Con gli altri due o tre dirigenti storici, piccoli commercianti o artigiani, stavamo per mollare. Ma a quel punto, un giorno sì e l’altro pure, ci ritrovammo davanti alla porta due giocatori: Max e Giovanni Rossi, a supplicarci di pagare l’iscrizione e di affidarsi a loro, con ruoli diversi: il primo come allenatore, il secondo come direttore sportivo”.
Il destino stava dando un altro giro di ruota. Allegri è quello che tutti conoscono. Rossi attualmente è il ds del Sassuolo. Amici intimi.
Ancora Doni: “Ci convinsero, stipendio sui 25mila euro all’anno, spese incluse”.
L’anno della C2, con Max in panchina, arrivano Sordo (ex Milan) e Andreotti (ex Pisa e Florentia). L’Aglianese si salva giocando bene, per due volte fa 0-0 contro la corazzata Sangiovannese, costruita per vincere e allenata da un altro emergente: Maurizio Sarri, 180 minuti di noia al cubo.
L’Allegri visto togliersi il cappotto e buttarlo in terra per la rabbia Carpi (tre anni fa), Doni lo vide tale e quale a Forlì, penultima di campionato quando, in vantaggio – che avrebbe significato salvezza anticipata – tal Fogacci si fece espellere scioccamente. “Ho ancora nelle orecchie le urla. Mai visto uno più incazzato”.
Ad Agliana frequentava solo il tennis club, unico punto di ritrovo della squadra. Nessun indizio, anche minimo di una carriera così travolgente (“lo sguardo arrivava al massimo all’anno successivo, tra C e D, figurarsi la Champions”).
Già, la Champions. Per capirci: a quei tempi veniva trasmessa in chiaro su Mediaset. “Il mercoledì, insieme a Max e agli altri ragazzi che si fermavano ad Agliana, compravamo pizza, gelato e birre, e salivamo a casa mia, sopra il negozio, a vedere la diretta in tv. Max, come tutti, ogni tanto sbottava: ma come si fa a far giocare questo? Toglilo, non lo vedi che è spompato? Se qualcuno mi avesse detto che, dopo 15 anni, uno di quella tavolata avrebbe disputato la finale di Champions, sarei morto dalle risate”.
Max e Giovanni si sentono e si vedono ancora oggi, a 15 anni e 30 vite di distanza. “Quando gli dico: non ci avrei mai creduto, e tu? Risponde con un sorriso”. Ma il filo dell’amicizia è di quelli resistenti. “La cosa più bella è sapere che ci si pensa, reciprocamente. Il giorno dello spareggio per non scendere in seconda categoria, la sera, seduto sul giardino di casa, verso mezzanotte, mi squilla il telefonino e sul display appare la scritta: Max. Si era a poche ore dalla finale di Champions, a Berlino, contro il Barcellona. Ciao Massimiliano, dico. E lui: allora ce l’abbiamo fatta a salvarci eh…”.