Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  gennaio 28 Lunedì calendario

Trent’anni dopo a ciascuno il suo Sciascia

Quando si arriva alla pagina 204, poco oltre la metà di questo libro magnifico e (quasi) introvabile, Leonardo Sciascia, dando memoria al futuro, ci racconta, con Savinio, cosa succederà ai prescelti da Dio che entreranno in Paradiso, e dunque a lui è successo ormai trent’anni fa: «… lanceremo tre oh! di meraviglia, di sorpresa: il primo, perché ci troveremo quelli che credevamo che non ci sarebbero andati; il secondo perché non ci troveremo quelli che eravamo sicuri ci sarebbero andati…». E per esempio «Giovanni Paolo II che ci andrà scriveva Sciascia sul quotidiano spagnolo El País nel 1981 – potrà prepararsi un oh! più forte per l’assenza del generale Franco».
Il terzo oh!, che non è spiegato, forse Sciascia il 20 novembre 1989 lo pronunciò scoprendo il paradiso uguale alla sua Noce, la casa di campagna che la figlia Anna Maria racconta come” la gioia perfetta": senz’acqua, senza luce, u stipunieddu, le lancedde, le quartare, il salame al soffitto e Raffaele con le sue caprette per il latte: «Nessuno aveva un padre come il mio, così giovane e ai miei occhi bello come un attore americano, che fumava le Chesterfield… e sapeva anche sparare».
In edizione limitatissima, questo numero speciale della rivista Il Giannone è un libro più di studio che di celebrazione, con i contributi di ben 45 firme, da Eco a Ceronetti, da Fofi a Calasso, da Ferroni a Consolo, Davico Bonino, Nigro, Belpoliti, Ferrero… Si intitola Leonardo Sciascia trent’anni dopo e si apre con la corrispondenza, quasi tutta manoscritta, tra lui e Gesualdo Bufalino. L’ultima lettera è del 16 aprile del 1989, quando il mieloma molecolare si era ormai rivelato indomabile: «Carissimo Dino, nell’estrema debolezza in cui sono caduto, il parlare a telefono mi dà emozione e confusione. Ti scrivo dunque: tanto per farmi vivo (?!). Curiosamente, coi miei pensieri mi pare di stare a fare la punta a una matita: sempre più sottile, sempre più acuta, ma che non serve…». Sciascia ne accenna, ma non parla mai direttamente della malattia che alla fine diventa «una vicenda di scopie e di analisi». Sente quel che il suo amato Pirandello chiamò” la morte addosso” ma non scandisce” mieloma” come faceva Gassman quando, appunto nell’Uomo dal fiore in bocca, scandiva” epitelioma” e poi diceva: «Ah, la vita, per Dio, al solo pensiero di perderla…». Con Bufalino si videro un’ultima volta: «Corsi a Palermo per abbracciarlo, si commosse come ormai gli avveniva assai spesso. I mesi finali furono di penosa commedia, come accade: noi a fingere di credere che potesse guarire, lui a fingere di non accorgersi che fingevamo».
C’è l’amicizia nel fondo del libro, a partire dalla tenacissima fedeltà che nel 1990 spinse Antonio Motta a inventare nel suo Gargano il” Centro Documentazione Leonardo Sciascia” e ora a dedicargli questo curatissimo volume che, come lo scrigno di Napoleone a Sant’ Elena, raccoglie lettere, interviste, testimonianze, immagini, saggi che, quando non sono inediti, sono dimenticati, persino sul Giorno della civetta, ” gioiello di semplicità”,” il libro dell’Italia com’era e dell’Italia com’è diventata”. Ma anche filologie sullo Sciascia fuori mano, quello che nel 1940 si esercitò sulle riviste del Guf e quello che nel 1950 esordì democristiano su Prova (dal dantesco «Non sbigottir, ch’io vincerò la prova»), la rivista del dc antifascista Giuseppe Alessi: vi pubblicò Le favole sulla dittatura, che qui vengono illustrate da Giosetta Fioroni. E poi il maestro che a Danilo Dolci si presentò così: «Sono un maestro delle elementari che si è messo a scrivere libri. Forse perché non riuscivo ad essere un buon maestro delle elementari». E c’è lo Sciascia che regalava bottiglie di Marsala a Tobino, il quale di lui scrisse: «Assomiglia a un arabo, è buono, malinconico e passionale». E si sa che era astemio ma” arrubinato” dal vino: «"Lei è astemio?”, domandò il padrone di casa. “No, sono Tascarella da Racalmuto”, rispose l’astemio».
Ci sono pagine sull’uso dei due punti, altre sull’accumulo degli aggettivi, altre ancora sul suo lessico da «fàrisi u san Giuseppe» agli occhi «invetrati come di terrore», e poi l’orchestrazione verbale persino espressionistica: «lo sbaraglio di quel viaggio», «urlante grappolo di fiori», «il sole come pupilla strabica e lenta». E il verbo alla fine: «orfani ci hanno lasciati», «queste cose subito vedono», «benissimo si conoscono». E ancora: «Io sono molto attaccato al dialetto, lo parlo quasi sempre. Ma non farei nulla perché i giovani tornassero a usarlo». C’è Agatha Christie ispiratrice di Todo Modo, «il romanzo antidemocristiano che si aspettava che qualcuno scrivesse», disse Italo Calvino che di Sciascia aveva presentito l’anima radicale, pannelliana: «La sua concezione ideologica è quella di un Giacobino, di un vero liberale. Cioè un personaggio quanto mai utopico in Italia, di questi tempi». Era il 1975 e manzonianamente si può notare: «Così va il mondo; o almeno così andava nel secolo Ventesimo». 
E si fa più ricco anche il rapporto di Sciascia con l’immagine, a partire dalla copertina che è uno scatto inedito di Ferdinando Scianna del 1964, ciuffo ancora pronunziato e sorriso stretto e timido, con sulla sfondo la porta di campagna aperta a metà su un interno nero, nero di Sicilia, nero su nero che è pessimismo ma è anche inchiostro di scrittura e «lo scrivere è sempre un atto di speranza». Da Parigi, «quella gioiosa del Maggio, deriva l’unico lieto fine nei romanzi di Sciascia»: l’amore appagato del Candido.
A Bufalino, col quale faceva parrocchia a parte, Sciascia manda, come dono di nozze, la celebra fotografia di Baudelaire, tirata dalla lastra di Nadar: «L’ho incorniciata alla meglio». A Giuseppe Tornatore confessa che, tra tutte le sue opere, quella che più avrebbe voluto vedere al cinema è la storia di Calogero Schirò, il calzolaio siciliano che non si rassegna al tramonto del comunismo. E noi ora notiamo che non è stato ancora girato il film sulla caduta del comunismo come quadro mentale italiano. E poi: Sciascia lettore di Savinio, Borges, Cecchi, Brancati, Silone, «non libri scritti da uomini ma uomini scritti da libri», e lo Sciascia dei saggi letterari, dei reportage, delle critiche d’arte «fuori dai ranghi e dalle avverse fazioni». Con Manzoni e Cervantes costruisce un giallo linguistico sulla parola mafia: «Manzoni lesse in spagnolo il Don Chisciotte; e quando si imbatteva in parole o espressioni ancor vive nel dialetto milanese, diligentemente le annotava… Nell’elenco c’è la parola” mafia”, non registrata dai dizionari della lingua spagnola e finora – per me – introvabile nel Don Chisciotte». Manzoni le attribuisce il significato, che a Sciascia piace, di” astuzia, malizia”. Ma come mai Manzoni trova in Cervantes una parola che non c’è? Forse l’ha trascritta male o forse è stato un errore tipografico e magari non era” mafia” ma” magia”. E però magia non significa” astuzia, malizia”. Tanto più, nota Sciascia, che «nei Promessi sposi non c’è la parola, d’accordo, ma c’è – direbbe Sartre – la cosa».
E infatti, in un’intervista a Die Zeit, qui riportata per intero, Sciascia sostiene che nella Lombardia del Manzoni c’erano i mafiosi proprio come nella Sicilia spagnola: «Sì, i bravi..., con tutta questa alleanza tra gli avvocati e gli amministratori pubblici, il governo in ultima analisi è la malavita. Ma in Lombardia finisce mentre in Sicilia continua; in Lombardia arrivano gli austriaci con la buona amministrazione e in Sicilia restano i borboni»
.
C’è pure il ricordo di una profetica intervista (1983) sul computer che, secondo Sciascia, avrebbe un giorno messo a rischio la memoria. (Quello stesso cronista gli chiese come mai scrivesse così poco sui giornali e lui rispose: «Perché mi pagano troppo»).
Rimane irrisolto l’ultimo giallo: come trovare questo libro (quasi) introvabile? Autorizzato, scrivo qui il telefono del suo autore e editore: Antonio Motta: 3297320863