L’Economia, 28 gennaio 2019
Gli acchiappa debiti
Altro che pulizie di primavera. Nelle banche italiane le pulizie di fondo vanno avanti interrottamente dal 2015, estate e inverno, senza distinzione di stagione. Nel solo 2018, secondo una recente indagine di Debtwire (European Npls-Fy18), sono state ceduti in Italia debiti per 103,6 miliardi di euro (pagati tra il 20 e il 40 per cento del valore nominale), più della metà di quanto transato in tutto il Vecchio continente (205,1 miliardi, cifra record). Nessun altro Paese in Europa ha fatto tanto: la Spagna, seconda, ha ceduto 43,2 miliardi di Bad loans, l’Irlanda 14,3. La Germania si è fermata a 7,6 miliardi, la Gran Bretagna a 7,3. E il nuovo anno si è aperto con il botto: il 2 gennaio Banca Ifis ha acquisito crediti deteriorati per 1,16 miliardi di euro dal Monte dei Paschi di Siena. Ed entro primavera Banco Bpm cederà al Credito Fondiario un pacchetto di prestiti ammalorati che potranno raggiungere i 7,8 miliardi di euro. In nessuna altra economia europea avviene quanto sta accadendo in Italia. Colpa nostra, certo. Perché per anni abbiamo infilato sotto al tappeto, o in fondo a quel cassetto, le pratiche più scomode e fastidiose, quei soldi prestati dalle banche che non tornavano a casa. Quell’epoca è finita: le banche italiane accelerano per recuperare il terreno perduto e dare credibilità ai propri bilanci.
Non performing loans Quello degli Npl, i Non performing loans, è un mercato per specialisti. Servono capitali e competenze. I primi sono arrivati in Italia attraverso fondi internazionali specializzati. Le seconde si sono formate soprattutto all’interno degli istituti di credito, tanto che alcune tra le operazioni più recenti e di rilevante portata hanno visto i fondi stranieri acquisire, al fianco delle partite ammalorate, anche le piattaforme di lavorazione di quelle posizioni. È accaduto con Carige e più recentemente con Intesa Sanpaolo. Cerberus (29,7 miliardi) è stato il primo acquirente europeo nel 2018, seguita da Sga (italiana e pubblica, 18,3 miliardi), Lone Star (15,1) e Intrum (13,7). A vendere, soprattutto banche italiane: il Monte dei Paschi di Siena è stata la prima (27,8 miliardi), seguito dall’aggregato veneto dato da Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca (che hanno trasferito gli attivi a Sga, per 18 miliardi) e dal Banco Bpm (12,8). Dietro ai tre top sellers europei, in Italia ci sono Intesa Sanpaolo (10,8), Ubi (3,1), Unicredit (3). La spinta verso la pulizia dei bilanci bancari, con ampio ritardo rispetto al resto d’Europa, è stata determinata anche dalla volontà pubblica, che si è concretizzata attraverso la Gacs, ovvero la Garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze. Uno schema in scadenza il 6 marzo e di cui si avverte l’urgenza di un rinnovo. «Il picco per volumi e prezzi – dice Giovanni Bossi, amministratore delegato di Banca Ifis – si è raggiunto nel primo semestre 2018. E in questo c’è anche un effetto Gacs. Dall’estate i prezzi sono in calo, c’è un rallentamento del mercato primario e questo per due ordini di motivi: ci sono molti operatori e il costo del funding non può non essere condizionato dalle dinamiche dei tassi di interesse. L’incremento dei tassi registrato dall’estate impatta sui prezzi. A questi si aggiunge un terzo elemento: la disaffezione dei mercati internazionali nei confronti dell’Italia».
Dal 2015 le banche italiane hanno espulso dai loro bilanci partite ammalorate per complessivi 155 miliardi di euro, secondo il recente Market watch di Banca Ifis, ma allo scorso novembre tenevano a bilancio una quota comunque rilevante di prestiti non onorati, pari a 118 miliardi. Al netto dei 7 miliardi di euro che si sono comunque andati a definire nel corso di questi quattro anni, il mercato italiano dei prestiti tossici vale oggi 266 miliardi. Una enormità: un’industria che vale oggi migliaia di posti di lavoro.
In un segmento che vale 155 miliardi doBank è il leader. Dietro un nome nuovo e una quotazione in Borsa (!), vi sono conoscenze sedimentate dall’esperienza. Il controllo della società è per il 50,1 per cento in mano a Softbank, nuovo marchio degli americani di Fortress (42,1 miliardi di dollari di asset under management allo scorso 30 settembre), che sono da sempre presenti sul mercato italiano. Nel 2005, ad esempio, acquisirono Npl da Intesa per complessivi 10 miliardi. E dal 2015 le loro attività sono andate a innestarsi in una storia secolare, culminata in quella che era Unicredit Credit management bank, erede di quel Credito fondiario delle Venezie (la sede è ancora a Verona), nato nel 1900 come sezione del Credito Fondiario della Cassa civica di risparmio di Verona. Una storia secolare e una ambizione da leader, visto che oltre al mercato italiano doBank è protagonista in Spagna, dove il 31 dicembre scorso ha siglato l’acquisizione dell’85 per cento di Altamira, che ha portato il portafoglio di doBank a superare i 140 miliardi di valore nominale (88 solo in Italia).
Gli americani di Softbank non sono gli unici. Il Credito Fondiario (82% Elliott, il resto agli azionisti di Tages e al top management) nel 2016 contava asset under management per 6,7 miliardi. Oggi ha superato quota 50 miliardi e ragiona su una possibile quotazione in Borsa a fine anno. È un mercato in grande effervescenza. «Anche perché agli Npl propriamente detti vanno sommati gli Utp, gli Unlikely to pay, ovvero quelle che un tempo si chiamavano Inadempienze probabili – dice Antonella Pagano, Business development director di Intrum Italy, il colosso nato il 1° dicembre 2018 dall’accordo tra Intrum e Intesa Sanpaolo – e quella è una partita nuova, di rilevanti dimensioni. Gli Utp sono una particolarità del mercato domestico, operazioni ancora vive, che spesso hanno un sottostante immobiliare».
Già, il mattone è la prima preoccupazione degli italiani. Ma talvolta si fa il passo più lungo della gamba. Se i portafogli delle banche sono colmi di finanziamenti a operazioni industriali finite male, una quota non piccola è relativa a mutui non onorati. Finanziamenti che fino a pochi anni fa raggiungevano il 100% del valore dell’immobile e talvolta andavano oltre, sono diventati insostenibili nel momento in cui la crisi dell’ultimo decennio ha ridotto il reddito disponibile. E proprio riferendosi al mercato degli Utp, il recente report di Pwc sul mercato dei debiti italiani titola: Entering a new era, entrando in una nuova era. Sarà così? Per ora i numeri indicano che il cambiamento è in corso.