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 2019  gennaio 28 Lunedì calendario

«Il primo buco di eroina a 15 anni con il mio fidanzato»

È stata una ragazzina dello zoo di Rogoredo. La data del primo buco la conserva nella memoria. «Era il 16 luglio 2015, avevo 15 anni e mezzo. Stavo col mio ragazzo, conosciuto a scuola. Lui si faceva ogni tanto. Io volevo provare. Prima di dormire, mi dice: “Ce l’ho qui, cosa vuoi fare”. Io rispondo: “Va bene”. La prima volta non è stata come pensavo. Forse me ne aveva data poca, me lo ricordo, era un puntino. Ho vomitato per ore e basta. È stata una notte strana, eravamo distanti, lui era fatto, si è addormentato. Io non ho mai dormito, stavo con gli occhi spalancati». È segnata anche sulla pelle, quella data. «Avevo tutte e due le braccia piene di buchi, decine di buchi, perché ho le vene sottili e non si vedevano, mi ha bucato tutte le braccia prima di trovarne una. Avevo anche una foto, fatta mentre lui dormiva, ma l’ho cancellata. Poi col tempo ho trovato un angolo sul braccio sinistro. Mi facevo sempre lì, è rimasta un’enorme cicatrice, non scomparirà mai. La pelle mi ricorda ogni giorno quello che ho fatto, però è anche un bene perché l’ho sempre qui, e non l’associo più al paradiso».
Bisogna ascoltarla tutta e con attenzione, la storia di questa ragazzina milanese che ha appena compiuto 18 anni: ed è già stata una «tossica». Bisogna ascoltarla perché dentro questo pezzo della sua vita ci sono tutti gli elementi che rischiano di falciare una generazione (la tristezza, il «disagio» immotivato di ogni adolescente, l’assenza di memoria storica sui disastri dell’eroina, il mondo degli adulti che non sa parlare di droga, la tentazione di una vita «altra», la roba di nuovo a disposizione di tutti, l’incoscienza totale sul tema dipendenza). E bisogna ascoltare anche il racconto del secondobuco, anzi soprattutto questo, perché qui sta il cuore dell’attrazione che porta verso l’eroina, la vertigine che apre a chiunque abbia figli un abisso di terrore. Solo così si potrà provare ad arginare una strage. «Dopo pochi giorni l’abbiamo rifatto, stavolta forte – racconta la studentessa che il Corriere ha incontrato a lungo nei giorni scorsi, minuta, occhi neri con ciglia lunghe, proprio bella —. L’eroina ti annulla subito il dolore, uccide il disagio, cancella il mondo reale. Appena sale lei, senti tutte le ossa che crollano, sei sempre più rilassata, hai caldo, sei tranquilla, improvvisamente in pace. Era il 19 luglio 2015».
Ha impiegato tempo per realizzare. Vedere la sua vita nera, sprecata, buttata. Quando l’ha fatto, grazie a alcuni amici, è riuscita incredibilmente a fermarsi. Ora è in cura. Pulita da due mesi. «Sentivo fin da piccola un sottile disagio. Non tanto a casa, partiva da me il problema, lo sentivo io. Fuori non c’era niente, non si vedeva niente, io non mostravo niente». Uno affascinato in partenza «vuole sperimentare e viene preso come un pesce a un amo. Ci casca per l’idea del paradiso in un attimo», racconta ancora. «La prima volta che sono entrata nel “bosco della droga” il mio fidanzato mi ha detto “seguimi e non parlare con nessuno”. C’era di tutto per terra, siringhe, preservativi, gente sdraiata, marocchini che mi approcciavano. Un uomo con gli occhi azzurri, lo sguardo vitreo, mi ha fissato. Dopo un po’ per chi va al “boschetto” diventa una cosa meccanica. Ma io sono riuscita a tenere una specie di limite, ci sono entrata solo due volte. Andava lui, lo aspettavo al bar di Rogoredo. L’amore cambia in questa situazione, mi chiedevo “lo voglio perché mi procura la roba?”. A un certo punto ti accorgi che tra te e le persone c’è sempre un ago in mezzo. Un ago sottile che magari gli altri neanche vedono ma ti separa da tutto pungendo, facendo male. Aumenta la distanza tra te e il resto. Sideralmente».
La dipendenza da eroina è potentissima. Succede senza che te ne rendi conto. E a quel punto è già avanzata. «All’inizio riesci a resistere, hai ancora un piede dentro la realtà. Allora vai avanti con la sostanza, stai bene, non ti viene in mente di smettere. Mi facevo una o due volte la settimana, poi quattro, dopo la scuola, ma all’ultimo tutti i giorni, e anche più volte al giorno, perché tra una dose e l’altra stavo male. Non riesci ad aspettare, inizi a farti nei bagni sotto Rogoredo. Te ne fotti di tutto, giù in metro ci sono le scale, un angolino, io mi mettevo lì, la gente passava e ero accucciata in basso. Non frequentavo più i compagni, a casa non parlavo, non hanno mai saputo niente. Ho continuato ad andare a scuola, ho perso solo un anno all’inizio, perché mi sono fatta le prime volte a luglio e avevo una materia a settembre. Non ho passato l’esame perché quel giorno lì sono rimasta muta. Non ero fatta ma avevo la testa dall’altra parte, non mi fregava niente, il mio fidanzato era fuori da scuola, sono corsa da lui e siamo andati al “boschetto” a prendere la roba».
Da sola non potevo uscirne, da due mesi mi segue un operatore che è riuscito ad agganciarmi senza giudicarmi
«Un problema per le ragazze in quel posto è la prostituzione. La gente lo sa che ci sono le ragazzine, i pendolari in giacca e cravatta ne approfittano. Una volta è uscita dal bagno una che conosco, 17 anni, con un signore in cravatta. Lei si vergognava, con lo sguardo mi chiedeva di non dire niente. L’hanno proposto anche a me, un signore con 20 euro in bocca mi ha chiesto: “Ti servono? Te li vuoi guadagnare?”. Sono riuscita a tenere un minimo di dignità ma se andavo avanti lo facevo anche io».
La luce è stata una consapevolezza improvvisa. «Mi ricordo la penultima pera, di fretta, perché ero in astinenza: di colpo l’eroina toglie tutti i mali, spariscono. Appena ti sale, finisce il dolore. In quel momento mi sono sentita in gabbia. Mi sono detta non posso più andare avanti senza farmi. Il piacere, il rito preparatorio, il desiderio, l’attesa, non c’è più niente. Devi farti subito. Subentra la paura. Ti dici passa un’ora, un’altra, poi inizio a stare male, devo procurarmi i soldi. Vedi gli strafatti in giro e ti appaiono d’improvviso per ciò che sono, deboli sotto il controllo di altro, annientati, schiacciati, a chiedere monete perché ne hanno bisogno e non possono stare senza. Ti viene il dubbio di essere anche tu così, ormai. L’istinto mi ha chiamato fuori».
«Chi non si fa non riesce a entrare in contatto. Se mi penso pochi mesi fa, non mi riconosco. Avrei voluto qualcuno che mi entrava in testa e mi parlava. Nessuno ci riusciva. Da sola non potevo uscirne, però. Da due mesi mi segue un operatore che è riuscito ad agganciarmi senza giudizio, domandandomi: “Cosa c’entri tu con Rogoredo?”. Ancora aspetta una mia risposta. Lui dice che con questo schifo non c’entro. Ma nessuno c’entra con quel posto, anche se sono i ragazzi dello zoo di Rogoredo. Davvero. Proprio nessuno c’entra».