28 gennaio 2019
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Biografia di Oprah Winfrey
Oprah Winfrey (nata Oprah Gail Winfrey), nata il 29 gennaio 1954 a Kosciusko (Mississippi, Stati Uniti) (65 anni). Conduttrice televisiva. Autrice televisiva. Attrice. Produttrice. Secondo l’ultima classifica ufficiale della rivista Forbes (aggiornata al 6 marzo 2018), 887a persona più ricca del mondo, con un patrimonio netto stimato in 2,7 miliardi di dollari. «Ha messo in piedi un impero imprenditoriale senza precedenti per una donna. È stata la prima afroamericana miliardaria (2004), prima di divenire l’americana “self made” più ricca in assoluto. […] Le sue trasmissioni televisive sono diffuse in 140 Paesi a beneficio di 46 milioni di spettatori, e le copertine di riviste da Time a Forbes la dichiarano la donna più influente e potente del mondo» (Flavio Pompetti). «Ho sempre pensato di essere una figlia di Dio, e che in quanto tale avevo il potere di fare qualsiasi cosa» • «Nata in Mississippi e con i nonni provenienti da Georgia e North Carolina, […] ha scoperto grazie all’esame del Dna di essere in realtà originaria di una tribù zulu dell’Africa del Sud» (Maurizio Molinari). «Il suo nome originale era Orpah, come un personaggio biblico citato nel Libro di Ruth, ma i familiari trovavano che fosse troppo difficile da pronunciare, e lo hanno convertito in Oprah» (Mattia Ferraresi) • Figlia naturale di una donna delle pulizie e di un minatore (l’identità del padre biologico è stata però messa in dubbio). «Un pomeriggio dell’aprile 1953, nelle campagne del Mississippi, […] sono stata concepita fuori dal matrimonio da Vernon Winfrey e Vernita Lee. Il loro incontro di quel giorno, non esattamente una storia d’amore, provocò una gravidanza indesiderata, che mia madre tenne nascosta fino a quando venni alla luce. […] La mia nascita fu segnata da rimorso, segretezza e vergogna. Ero l’unica bambina nel giro di chilometri, quindi ho dovuto imparare a stare con me stessa. Avevo libri e bambole fatte in casa, animali da fattoria con cui spesso parlavo». «Nei primi anni di vita, passati con la nonna nelle campagne del Mississippi, portava abiti ricavati dai sacchi delle patate, l’unica stoffa che in casa si potessero permettere. È in quel periodo, però, che mostra un talento precoce: a tre anni sa già leggere, e la comunità che si raccoglie attorno alla chiesa la chiama “la predicatrice” per la sua abilità nel recitare i versi biblici» (Ferraresi). «A casa della nonna materna, […] succhiava libri, rifiutandosi di imparare a sgozzare galline e a fare sapone di soda, perché la sua vita "sarebbe stata diversa"» (Benedetta Pignatelli). «Assieme alla madre e a quello che crede essere il suo padre biologico si trasferisce a Milwaukee, dove le sofferenze, però, sono tutt’altro che finite. A nove anni viene molestata dal cugino, dallo zio e da un amico di famiglia, dramma che finisce soltanto quando a 13 anni Oprah scappa di casa. Un anno più tardi rimane incinta e partorisce un bambino, che muore poco dopo la nascita: storia che i familiari hanno raccontato a sua insaputa al National Enquirer nel 1990, quando Oprah era già una star della televisione. Poi il trasloco a Nashville, le prime esperienze in televisione e radio a Baltimora» (Ferraresi). «Quando ero una giovane reporter alla Wjz di Baltimora, mi assegnarono quello che era considerato un incarico importante, un vero colpo di fortuna: un viaggio a Los Angeles per intervistare alcune star della televisione. All’inizio ero molto eccitata perché avevo l’occasione per dimostrare la mia bravura di intervistatrice e aggiungere qualche nome celebre al mio curriculum. Una volta a Hollywood, invece, mi sentivo come un pesciolino rosso calato in un acquario tropicale. Iniziai a dubitare di me stessa. Chi ero io per pensare di entrare nel loro mondo e aspettarmi che parlassero con me? […] A peggiorare le cose, l’agente di Priscilla Presley, che era lì per presentare un nuovo spettacolo, mi disse (ero l’undicesima della fila per parlare con lei): “Puoi chiederle qualsiasi cosa, ma non menzionarle Elvis. Ti pianterà in asso”. Adesso non ero solo intimidita da questo nuovo mondo di star e di manager: mi sentivo completamente inibita. Facevo la reporter in tv da quando avevo diciannove anni. Avevo intervistato centinaia di persone in situazioni difficili ed ero orgogliosa di me per essere capace di rompere il ghiaccio e stabilire una relazione con i miei interlocutori. Ma non ero abituata alle vere “stelle”. Pensavo che possedessero una sorta di aura mistica, che essere famosi li rendesse non solo diversi da noi gente comune, ma anche migliori. E avevo difficoltà a immaginarmi come me la sarei cavata con solo cinque minuti a disposizione senza poter sfoderare la vera domanda. Per qualche ragione – voi potete chiamarla una coincidenza; per me fu un intervento della grazia – fui dirottata dalla fila di Priscilla Presley a intervistare un giovane attore che stava per iniziare una serie intitolata Mork & Mindy. Quelli che seguirono furono i cinque minuti d’intervista più esilaranti, pazzi, incredibili che abbia mai avuto, con l’essere umano appartenente alla razza delle celebrità più disinibito, creativo, incontrollabile che abbia mai incontrato. Non ricordo una parola di ciò che dissi (ma so che quasi non aprii bocca). Lui era un geyser di energia. Ricordo di aver pensato: “Chiunque sia questo tizio, diventerà un GRANDE”. Mi divertii un sacco a scherzare con Robin Williams, e imparai proprio in quella circostanza ad andare dove ti porta l’intervista. Saltava da un argomento all’altro, e io dovevo seguirlo. Quando venne il mio turno di intervistare Miss Priscilla, è certo che avevo imparato la lezione: non realizzi nulla inibendo te stesso. Le chiesi di Elvis. Non mi piantò in asso. Anzi, mi fece la cortesia di rispondere». Ingaggiata a Chicago dalla Wls-Tv, emittente locale appartenente al gruppo Abc, il 2 gennaio 1984 cominciò a condurre il talk-show mattutino di mezz’ora AM Chicago, riuscendo in un solo mese a portarlo dall’ultimo al primo posto della classifica degli ascolti in città. Grazie a tali risultati, e in seguito alla sua acclamata interpretazione cinematografica ne Il colore viola di Steven Spielberg (1985), la Abc decise di tramettere il programma a livello nazionale, di estenderne la durata a un’ora e di collocarlo nella fascia pomeridiana, cambiandone anche il titolo: iniziò così, l’8 settembre 1986, The Oprah Winfrey Show, uno dei talk-show pomeridiani più longevi e di maggior successo della storia della televisione, trasmesso continuativamente fino al 25 maggio 2011. «Qual è il suo segreto? Secondo molti, miscelare pubblico e privato. Nulla viene risparmiato ai fedeli tv: Oprah che divora würstel con sciroppo d’acero; Oprah violentata a 9 anni; Oprah che sniffava a 20 anni; Oprah che si fidanza con Stedman Graham ma non si sposa mai. Il pubblico partecipa alla sua esistenza e, sazio di dettagli, la ripaga con fiducia illimitata» (Pignatelli). «Il suo stile distintivo è la confessione con la lacrima all’occhio, sia che si tratti dei suoi fallimenti, in amore come nell’eterna lotta contro l’obesità, o che nel suo studio arrivi la star di turno, caduta dalle stelle e in cerca di riscatto. Michael Jackson le aprì le porte della sua tenuta di Neverland nel ’93 quando era accusato di aver molestato un bambino. Rihanna le confessò tra le lacrime la difficoltà di prendere distanza da Chris Brown, nonostante le percosse che ancora le segnavano il volto» (Pompetti). «Molti vip hanno scelto l’Oprah Winfrey Show per confessarsi: l’attrice Ellen DeGeneres rivelò di essere lesbica, il divo Tom Cruise annunciò la relazione con Katie Holmes, il ciclista Lance Armstrong chiese perdono per essersi dopato. […] La capacità di Oprah di comunicare apertamente con la gente e di indurre i suoi ospiti televisivi a confidarsi è talmente esemplare che i media americani hanno coniato il neologismo “oprahfication” per indicare questo modo di esporsi senza pudori in pubblico» (Igor Ruggeri). «La costruzione dello show […] è interamente basata sul concetto di empatia, sulla partecipazione del pubblico al dramma umano messo in scena e sull’espiazione finale incarnata dalla stessa storia personale dell’anchorwoman. […] Oprah […] ha costruito un prodotto mediatico che unisce la star di Hollywood all’uomo della strada, il salotto intellettuale alla periferia difficile. Davanti allo show di Oprah si versano lacrime molto glamour e si ha l’impressione che questa eroina “self made” unisca razze e classi sociali altrimenti lontane e nemiche. Il successo del suo programma è soltanto una parte dell’operazione che l’ha resa una leggenda. Oprah è probabilmente il marchio più potente che esista in America, anche più di quello di Obama durante la grande campagna elettorale del 2008. In quel periodo era il candidato democratico a cercare il sostegno della commentatrice, e non viceversa. […] Una ricerca del Dipartimento di economia dell’Università del Maryland dice che l’endorsement di Oprah ha fatto guadagnare a Obama 1.015.559 voti. È soltanto un esempio di quello che economisti e sociologi dei media chiamano “effetto Oprah”. La sua sezione dedicata ai libri […] ha completamente sconvolto il mercato editoriale americano. Libri sconosciuti hanno scalato le classifiche soltanto dopo che lei ne ha parlato in diretta, e copie di grandi classici con vendite relativamente basse sono improvvisamente comparse negli scaffali dei best-seller del momento. A New Earth di Eckhart Tolle è stato presentato da Oprah nel 2008, tre anni dopo un’uscita in libreria che non aveva dato risultati esaltanti. Dopo essere stato selezionato nel suo Book Club, ha venduto 3,5 milioni di copie in un mese, arrivando in cima alla classifica di Amazon. Facile intuire che la massima ambizione di un editore fosse quella che una sua copertina fosse mostrata anche soltanto per 5 secondi durante il Book Club di Oprah, certo che le vendite sarebbero schizzate in alto nel giro di poche ore. Essere recensiti significava ricevere premi, entrare nell’establishment ed essere riconosciuti a livello popolare. […] Per non parlare di quanto il marchio Oprah influenza il botteghino. Quando Tom Cruise s’è presentato ubriaco nel suo studio facendo il famoso salto sul divano, ed è riuscito a fatica a mettere in fila qualche parola dotata di senso fra una risata e l’altra, Mission: Impossible III ha deluso in termini di incassi rispetto alle aspettative. E Cruise non ha invitato Oprah al suo matrimonio. È una specie di azienda di pubbliche relazioni su scala planetaria, una trendsetter universale che sposta vendite e simpatie con una piattaforma multistrato che va dalla televisione al web fino al The Oprah Magazine, periodico patinato in cui lei compare in copertina su tutti i numeri. […] Con la fine dell’Oprah Winfrey Show, quella voce non si è spenta: ha solo deciso di rimbombare in una nuova cassa di risonanza, la rete» (Ferraresi). «Oprah ha cominciato a interrogarsi sul futuro intorno al 2006. “Mi facevo molte domande su dove eravamo arrivati e dove eravamo diretti. La grande sfida, per me, era il digitale. Gli spettatori volevano guardare la televisione all’ora che più gli era comoda. La fascia pomeridiana non era più quella di massimo ascolto. Mi rendevo conto che il pubblico stava cambiando, il mondo televisivo imboccava una nuova direzione. Avevo deciso che non avrei mai voluto rimanere nel settore tanto a lungo da perdere il polso della situazione”. […] Si è imbarcata nel progetto di Own [Oprah Winfrey Network, la sua piattaforma digitale – ndr] nel 2011. […] “Pensavo di creare un canale che mandasse in onda trasmissioni di auto-aiuto tutto il tempo. Mi illudevo che al pubblico potesse interessare un programma di risveglio della coscienza spirituale in onda tutto il santo giorno. Ma ho imparato in fretta. A nessuno fregava di un format del genere. Erano disposti a seguirlo giusto la domenica, e basta. […] Ho quindi pensato a delle ‘pillole di spiritualità’, di dimensioni e durata ridotte, facilmente assimilabili nell’ambito di un format gradevole, in modo da renderlo appetibile al maggior numero di persone possibile”. Dopo un inizio difficile, […] alla fine Own ha trovato la propria vocazione. “Siamo stati in grado di […] gettare le basi per sceneggiature televisive di qualità, e adesso stiamo raggiungendo livelli che mai avrei pensato di ottenere. […] Sono elettrizzata perché ora, grazie a storie drammatiche, riesco a fare e a dire ciò che per tutti questi anni ho cercato di raccontare nel mio Oprah Show. Devo solo prendere spunto dall’energia disfunzionale che pulsa nelle migliaia di conversazioni che ho avuto durante le trasmissioni e trasformarle in un prodotto drammatico”. Nel frattempo, Oprah è anche tornata in onda per la prima volta dalla fine del suo talk-show, diventando una collaboratrice speciale per il programma televisivo 60 Minutes. Il motivo del rientro ha a che vedere con Donald Trump. Due settimane dopo le elezioni presidenziali, “O, The Oprah Magazine” organizzò una tavola rotonda con un gruppo di sostenitrici di Trump e di Clinton. La tensione era così alta che alcune non volevano nemmeno trovarsi allo stesso tavolo. “Ma dopo circa un’ora di dibattito le difese si sono abbassate. Invitando tutte a mantenere un atteggiamento di ascolto in modo da evitare di politicizzare le storie raccontate, sono stata in grado di mettere insieme donne dalle storie diversissime tra loro, e far sì che si ascoltassero e provassero empatia l’una per l’altra. Al termine della tavola rotonda, dopo due ore e mezza, avrei potuto invitarle a cantare tutte assieme uno spiritual e non avrebbero battuto ciglio, magari tenendosi per mano”. Fu in quell’occasione che le venne l’idea: quello forse era proprio ciò di cui l’America aveva bisogno. Jeffrey Fager, produttore esecutivo di 60 Minutes, l’aveva più volte invitata a collaborare al programma, ma era troppo impegnata. “Poi Leslie Moonves, presidente e amministratore delegato della Cbs, me ne ha riparlato, e adesso sono entusiasta di questo programma, che mi vede al centro di due schieramenti opposti, due fazioni diverse”. Come dice Fager: “Stiamo cercando di ridurre le divisioni che dilaniano l’America, nel tentativo di comprendere meglio ciò che ci separa, di gettare più luce su queste differenze. Oprah può aiutarci a capire, nella speranza di ridurre questo divario e ricominciare a parlare veramente tra noi”» (Jonathan Van Meter). Destò grande sensazione il discorso pronunciato dalla Winfrey il 7 gennaio 2018 in occasione del ritiro del Golden Globe alla carriera, implicitamente critico nei confronti del presidente Trump. Nella breve orazione, oltre a esaltare la libertà di stampa («Oggi apprezzo la stampa più che mai, mentre tentiamo di attraversare questi tempi complicati»), la Winfrey rivendicò le conquiste sociali e politiche degli afroamericani, e fece propria la causa del movimento femminista «MeToo»: «Dire ciò che pensiamo è lo strumento più potente che abbiamo. Ed io sono particolarmente orgogliosa e ispirata dalle donne che si sono sentite abbastanza forti e abbastanza emancipate da far sentire la propria voce e condividere le loro storie personali. Noi, ognuno di noi in questa stanza viene celebrato per le storie che racconta; quest’anno noi siamo diventate la storia. Ma non si tratta di una storia che riguarda solo l’industria dell’intrattenimento. Trascende ogni cultura, geografia, razza, religione, politica o lavoro. Quindi, questa sera io vorrei esprimere la mia gratitudine a tutte quelle donne che hanno sopportato anni di abusi e violenze perché, come mia madre, avevano bambini da mantenere e bollette da pagare e sogni da inseguire. Sono le donne di cui non conosceremo mai il nome. […] Tutte noi abbiamo vissuto troppi anni in una cultura ferita da uomini potenti. Per troppo tempo le donne non sono state ascoltate o credute quando hanno osato raccontare la loro verità al potere di questi uomini. Ma il loro tempo è finito. Il loro tempo è finito. Il loro tempo è finito! […] Nella mia carriera, […] ho intervistato e ritratto persone che hanno sopportato alcune delle cose più brutte che la vita possa gettarti addosso, ma l’unica qualità che ognuna di loro sembrava avere in comune con le altre era quella di mantenere la speranza in un mattino più luminoso, persino durante le nostre notti più buie. Quindi io voglio che tutte le ragazze che ora stanno guardando sappiano che c’è all’orizzonte un nuovo giorno! E, quando questo nuovo giorno sarà finalmente sorto, sarà grazie a tante donne meravigliose, molte delle quali sono proprio qui, questa sera in questa stanza, e grazie ad alcuni uomini piuttosto fenomenali, che stanno lottando duramente per essere certi che loro saranno i leader che ci condurranno fino al momento in cui nessuno dovrà dire di nuovo: “Me too”». «È stata quella parola, "leader", a scatenare la reazione entusiastica del pubblico oltre le telecamere, a far nascere il ritornello dell’"Oprah for president", alimentato il giorno successivo da confidenze di suoi amici, che hanno confermato come lei stia da tempo, e soprattutto dall’avvento di quel Trump che lei aborre, considerando la possibilità di correre per la Casa Bianca» (Vittorio Zucconi). Per giorni e settimane si dibatté di una sua possibile candidatura con il Partito democratico alle elezioni presidenziali del 2020, ma, dopo aver rilevato la tepidezza dei principali organi di stampa e dallo stato maggiore democratico, fu la stessa Winfrey a smentire recisamente tale ipotesi: «Sono sempre stata molto sicura di me, e convinta di cosa posso e non posso fare. Perciò non è una cosa che mi interessa. Non ho il Dna per farlo». «In una struttura politica come quella – fatta di finte verità, balle eclatanti, porcate, malignità, tradimenti alle spalle – sento che non potrei sopravvivere. Non è un lavoro pulito. Mi ucciderebbe» • Attiva, nelle vesti di attrice e di produttrice, sia in ambito cinematografico sia in ambito televisivo. Tra le pellicole interpretate, Il colore viola (1985) di Spielberg (per cui fu candidata all’Oscar alla miglior attrice non protagonista), The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca (2013) di Lee Daniels, Selma – La strada per la libertà (2014) di Ava DuVernay, e da ultimo Nelle pieghe del tempo (2018) della DuVernay. Come produttrice, è stata candidata all’Oscar al miglior film per Selma – La strada per la libertà • Promotrice e finanziatrice di numerose attività filantropiche • Sentimentalmente impegnata dal 1986 con Stedman Graham, conferenziere e uomo d’affari. «Non ho mai voluto dei bambini. Non sarei stata una brava madre per loro: non ho pazienza» • «In un’intervista del 1999, l’allora palazzinaro Donald Trump dichiarò perentorio: “Se mai mi presentassi alla Casa Bianca, Oprah sarà vicepresidente!”» (Gianni Riotta) • «È contemporaneamente intrattenitrice e sacerdotessa, pilastro dello show business e amministratrice di un culto fatto di miseria e riscatto» (Ferraresi). «La Winfrey è la donna che parla alla pancia delle casalinghe americane. La figura da cui tutti, vip e no, vanno non a raccontarsi: a redimersi. Se Oprah benedice, il peccato è mondato» (Scanzi). «Del successo economico (patrimonio di tre miliardi, cinque case sontuose dalle Hawaii alla California alla Florida) lei fa un vanto e un simbolo: nei suoi libri e nelle sue riviste (è anche editrice) non si stanca di contrastare le sotto-culture vittimiste; esorta neri e donne a lanciarsi nel mondo del business. È un ciclone di energia positiva, una versione aggiornata dell’American Dream, capace di trasformare in modelli anche le tragedie personali come la lotta contro l’obesità e gli abusi sessuali» (Federico Rampini) • «Essere coraggiose vuol dire aver paura, perché non c’è nessun coraggio senza che ci sia stata paura prima. Il momento in cui mi sono sentita sopraffatta, e ho avuto paura di non farcela, è stato quando ero giovane e avevo l’opportunità di un grande lavoro a Chicago. Tutti mi dicevano che non ce l’avrei fatta, che sarei dovuta rimanere dov’ero, perché sarei stata un pesce grande in un piccolo stagno: se fossi andata a Chicago, invece, sarei affogata. Ma, se ho imparato una cosa da quell’esperienza, è che se senti di fare davvero qualcosa non devi ascoltare chi cerca di scoraggiarti. Devi farlo, e basta. Devi seguire il tuo istinto». «Vivo in un posto bellissimo, e ogni volta che me ne vado, quando la macchina passa accanto al lago con le anatre e vedo i prati e la casa lassù, ripenso sempre a una frase di Dorothy nel Mago di Oz: “Ora so che non dovrò più cercare oltre i confini del mio giardino”. […] Spesso le persone non sanno neppure cosa le renda felici. Ma a me basta stare seduta sulla mia terrazza. Magari inizio a leggere un libro, poi a un certo punto penso: non leggo più, e mi limito a guardare. A esistere» (a Decca Aitkenhead). «Non conosco nessuno più felice. Nessuno con una vita più bella. Guardo gli altri, e a volte mi sembrano felici. Ma non quanto me».