La Lettura, 27 gennaio 2019
Il talento di imitare un erbivoro vissuto 290 milioni di anni fa
Vissuto circa fra i 280 e i 290 milioni di anni fa, l’orobate (orobates pabsti) era un vertebrato erbivoro, lungo poco più di un metro, con caratteristiche fisiche intermedie tra quelle degli anfibi e quelle dei rettili. L’interesse nei suoi confronti è dovuto al fatto che è stato uno dei primi amnioti, i vertebrati con quattro arti che, a differenza degli anfibi, potevano trascorrere l’intera esistenza sulla terra. La membrana protettiva che avvolgeva gli embrioni, infatti, consentiva loro di superare una prima fase necessariamente acquatica, tipica per esempio dei girini: fu, questa, un’innovazione evolutiva che permise loro di colonizzare nuovi habitat. Per la prima volta, un’équipe del Politecnico Federale di Losanna ha unito lo studio della sequenza delle impronte ricavate dai giacimenti fossili e l’analisi anatomica dei resti alle simulazioni con un robot (battezzato OroBOT), così da ottenere la migliore approssimazione possibile dell’andatura degli orobati. Gli studiosi hanno dapprima realizzato una simulazione cinematica, ricreando lo scheletro e definendo il movimento delle zampe, e poi una dinamica, che tenesse conto di fattori quali la gravità, l’attrito e l’equilibrio. Il risultato, apparso su «Nature» il 17 gennaio, è che gli orobati avevano un’andatura relativamente avanzata (ventre ben sollevato da terra, ondulazione contenuta), che si traduceva in un consistente risparmio di energia e offriva loro un importante vantaggio evolutivo. Gli studi sono all’inizio, ma promettono di gettare nuova luce sull’evoluzione dei meccanismi di spostamento, dall’andatura a quattro zampe a quella a due, dal movimento in acqua a quello sulla terra, al volo.