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 2019  gennaio 27 Domenica calendario

«Paura di volare? Ora la racconto io»

Ciò che per alcuni è un puro piacere per altri, si sa, può essere inutile o persino fonte di terribili fobie. No, non c’è bisogno di rincorrere le Ossessioni di Patrick Süskind. Basta affacciarsi in un aeroporto pieno di passeggeri in attesa di prendere il volo, che si trascinano dietro il loro bravo trolley per poi imbarcarsi verso un viaggio che magari pensano da sogno: o da incubo? Esatto: cosa può esserci appunto di più entusiasmante — o turbante — di un aeroporto? Eppure com’è che, una volta accomodati in poltrona, fra rullaggio e decollo, ci sentiamo poi tutti liberi di confessarci senza freni? Proprio da questa constatazione nasce Turbulence, il nuovo libro di David Szalay, lo scrittore canadese, con cittadinanza ungherese, già finalista al Man Booker Prize col precedente Tutto quello che è un uomo (pubblicato in Italia da Adelphi). Turbulence è nato come un progetto radiofonico, divenendo un collage di dodici storie identificate da una sigla a tre lettere (LGW, MAD, DSS) — proprio come quelle degli aeroporti — in cui i personaggi passano da una storia all’altra, partendo da Londra per farvi infine ritorno. Szalay anche in queste pagine dimostra di muoversi a proprio agio nell’animo umano, fra confessioni sincere e l’incapacità di aprire davvero il nostro cuore, consapevole del suo potenziale narrativo: «Senza il racconto delle nostre ombre, la letteratura non esisterebbe».

La prima domanda è obbligatoria: ha paura di volare?
«Ho volato molto da bambino senza alcun patimento. Intorno ai vent’anni ho smesso di farlo e contemporaneamente sono diventato un fan di una serie tv chiamata Black box. Come si può intuire dal nome, ogni settimana raccontava nel dettaglio un famigerato incidente aereo, per esempio il disastro di Tenerife del 1977. Capirete che per un po’ di tempo ho dovuto combattere la paura, ma ne sono uscito fuori».
Quindi oggi ha detto addio alla paura.
«Trovo ancora che il decollo sia un momento leggermente stressante e non mi piacciono le turbolenze. Ma di solito evito di intrattenere conversazioni intime con gli sconosciuti...».
Eppure da qui trae spunto "Turbulence".
«Credo che sia per il fatto che ci troviamo improvvisamente, e talvolta per alcune ore, a stretto contatto con degli estranei. Con perfetti sconosciuti che probabilmente non vedremo più. Così ci sentiamo liberi di lanciarci in conversazioni aperte e intime. In questo contesto credo sia significativo il fatto che non siamo seduti di fronte ma accanto a queste persone, in alta quota, e questo modo di sedersi promuove una certa libertà nella conversazione».
In " Tutto quello che è un uomo" ha dato spazio alle debolezze umane, fobie e vanità. È così anche per queste confessioni in volo?
«Mi piace scrivere di debolezze umane. Ma non è così per tutti gli scrittori? Le nostre incrinature dell’animo sono il soggetto ultimo di tutta la letteratura, sia comica che tragica. Anzi, privata del racconto delle nostre ombre, la letteratura non esisterebbe».
Com’è nato "Turbulence"?
«È iniziato come una commissione per la Bbc Radio. Dovevano essere dodici storie, su qualsiasi argomento, collegate tra loro ma in grado di funzionare come pezzi indipendenti. Ho avuto l’idea di basare le storie su dodici voli connessi: dovevano essere molto concise e, proprio per questo, in grado di cogliere la frenesia della nostra esistenza globalizzata ».
Sia "Tutto quello che è un uomo" che "Turbulence" hanno in comune il senso di sradicamento dei loro protagonisti, « Sì, Turbulence prosegue alcune delle principali linee tematiche ma, per esempio, Tutto quello che è un uomo era focalizzato (come suggerisce il titolo) su personaggi maschili, mentre inTurbulence ben sette dei dodici protagonisti sono donne. Inoltre, il primo è un libro dal contesto europeo, mentre Turbulence è più globale. Ma in entrambi i libri c’è la sensazione che i personaggi manchino di radici. Ed è qualcosa che mi preoccupa personalmente».
Anche da un punto di vista politico il mondo è più turbolento?
«Sì, è così. Credo di aver colto, forse involontariamente, delle frequenze di instabilità politica attuale, ma nel complesso non penso che Turbulence sia un libro che riguarda principalmente questioni politiche contemporanee».
Ha mai vissuto turbolenze indimenticabili in aereo?
«Ne ricordo una sul volo New York-San Francisco e un’altra da Budapest a Francoforte: lo staff e il pilota ci hanno consegnato dei panini mentre salivamo sull’aereo perché hanno previsto turbolenze troppo severe per farlo durante il volo».
E nella vita invece?
«Sì, certo. A chi non è successo?».