mi hai regalato molte ore di gioia inviandomi quei due volumi. Devo ammettere che Frank, in un certo senso, è veramente un grand’uomo. Mi rifiuto tuttavia di considerarlo un artista. Forse il mio giudizio è influenzato dal fatto di averlo incontrato dal vivo. Poco dopo essere arrivata a Londra, Austin Harrison mi ha portato a un night club chiamato "La caverna del vitello dorato". C’era uno spettacolo di cabaret e un barbiere tedesco di Hull che recitava poesie che egli sicuramente considerava esotiche ma che in realtà mi davano solo l’idea che avesse passato troppo tempo ad ascoltare le conversazioni dei marinai al porto di Hull. A quel punto entrò Frank Harris (scrittore irlandese, ndr), in un completo nuovo di zecca, che pareva essersi procurato da uno scapolo ingenuo a cui si era presentato sotto mentite spoglie, e a cui aveva dato una lezione di Stile. Era molto ubriaco. Aveva un atteggiamento ostile: un’arroganza aggressiva che scivolava nel viscido nei momenti in cui parlava della necessità dell’artista di provare compassione e amore — decisamente imbarazzante. Ma la cosa che trovai particolarmente disgustosa fu che tutto il sermone consistette in una critica a un incidente inMadame Bovary che non è neanche presente nel libro. Rimasi seduta in un silenzio solenne, inorridita da questo ciarlatano: e ancor più inorridita da come nessuno nella stanza — ed era pieno di scrittori: Moore e Hueffer e Housman e Cunningham-Graham — si fosse accorto di lui. Dunque questa è Londra, pensai. Mi consolai pensando che se quello era il livello della città, non avrei incontrato difficoltà a ricavarne un’entrata. Ma il senso di orrore che provai alla vista di Harris che trafficava impunemente con quei testi sacri — che abusava della letteratura come i suoi colleghi prestigiatori abusano dei conigli bianchi — non mi ha mai abbandonato. E lo ritrovo in questi testi, con le loro frasi barcollanti e rissose sulla bellezza, sul puritanesimo inglese e sul cristianesimo. Devo ammettere che la prosa è piacevole. Si vede che ci ha lavorato duramente. Ma non aveva intenzione di farne uno strumento di verità. L’ha semplicemente ricoperta di lucidante per mobili per renderla splendente e patinata.
Non ho capito il senso di questo polverone su Wilde. Ovviamente è impossibile per qualcuno della mia generazione giudicarlo come artista perché l’avete completamente esiliato dal mondo teatrale. E ho sempre avuto un pregiudizio nei suoi confronti per via dell’argomentazione secondo cui avrebbe meritato uno sconto di pena in quanto artista, il che mi pare indegno dell’aristocratico che ogni artista dovrebbe aspirare a essere. Va detto, però, che il libro è un’ottima argomentazione a favore dell’autogoverno dell’Irlanda. Vi sono contenute delle cose che non fanno che aumentare il disprezzo che si prova nei confronti dell’Irlanda. Anche mio padre era uno "snob di Dublino" e le circostanze in cui è cresciuto erano identiche a quelle di Wilde, ed è stato interessante notare come ciò che dici di Wilde era vero anche di mio padre. Sposò mia madre, che era una grande pianista, e distrusse il suo genio musicale e la sua vita con la massima imperturbabilità, poiché ella proveniva da una famiglia di estrazione contadina. Possedeva anche l’atteggiamento da ciarlatano nei confronti dell’arte di cui accusi Wilde; parlava di qualunque opera d’arte con condiscendenza e rifiutando di prendersi la minima briga per capire di cosa si trattasse. Suppongo che le perversioni di Wilde derivassero dal suo desiderio di godere dell’amore senza alcuna responsabilità. Mio padre era un uomo più fantasioso e invece di indulgere nelle perversioni (motivo per cui non abbiamo avuto la soddisfazione di vederlo finire in galera) conduceva delle esplorazioni in Africa, dove dava prova di coraggio e ardire tali che qualcuno ci scrisse un libro, mentre mia madre, le mie sorelle e io facevamo la fame a casa. Avrete dunque capito che la figura di Wilde non mi affascina. È un soggetto artistico quanto uno storpio può essere il soggetto di un quadro. Perdonatemi questa lunga lettera. Domani vi rispedirò indietro Frank.
Con affetto, Rebecca
A GEORGE ORWELL, 22 FEBBRAIO 1946
Caro signor Orwell,
ho l’impressione che la sua conoscenza di Henry Miller non sia all’altezza della mia. Si tratta di una dichiarazione offensiva, lo so, e la perdonerò se ne sarà risentito. In sua difesa, posso pensare che non lo abbiate conosciuto bene quanto l’ho conosciuto io, infatti scrivete che "per quarant’anni o più… ha condotto una vita insicura e disonorevole". Io sono in contatto con Henry Miller dal 1933 e posso assicurarle che, per quanto disonorevole sia stata la sua vita, non ha mai conosciuto un solo giorno di insicurezza — almeno non fino allo scoppio della guerra. Miller è un tedesco americano che dopo un’educazione piccolo borghese prese a lavorare alla Western Union Cable Corporation, di cui divenne presidente. Poi sposò una lurida sgualdrina di temperamento misto — era Baudelaire + Jean Lorraine + l’Hemingway della prima ora — che lo trascinò in una serie di guai che la Western Union non apprezzò. A un certo punto realizzò che c’era un solo modo per tirarsi fuori dai guai con la Western Union: scrivere di letteratura come espatriato a Parigi. Elaborò un piano geniale. Divenne intimo con una coppia teneramente ingenua: un giovane rappresentante di una banca americana sposato con una donna bellissima chiamata Anaïs Nin, l’unico vero genio che ho conosciuto in vita mia, il cui lavoro però ha risentito dell’influenza di Henry Miller e di sua moglie. Da quando si è messo in contatto con queste persone, non penso si sia mai preoccupato del cibo, dei vestiti o dell’alloggio. Infatti, aveva un delizioso appartamento a Parigi che gli invidiavo molto. Scrisse un libro ridicolo su Lawrence (D. H.) che Anaïs Nin mi chiese di vendere in Inghilterra, cosa che però mi fu impossibile, anche per merito delle case editrici inglesi. Era convinto che Lawrence fosse stato trascurato in Inghilterra, e che fosse apprezzato solo in America, il che non è vero, visto che vende in Inghilterra cinque volte tanto che negli Stati Uniti. È molto anti-inglese, e penso che questo sia dovuto al suo carattere fortemente tedesco. L’ovvietà delle sue opinioni e la vacuità delle sue parole, di cui vi lamentate, credo siano da imputare al fatto che è un impostore. Dal punto di vista umano, comunque, non lo trovo un impostore spiacevole e penso che se la smettesse di fare l’impostore potrebbe, grazie alla fluidità acquisita nel corso della sua carriera come impostore, diventare uno scrittore di un certo valore. Oggi qualcuno mi ha detto che se solo la Disney facesse una trasposizione deLa fattoria degli animali avremmo una vera opera d’arte contemporanea al cinema. Ho pensato che sarebbe una grande idea. Ho ammirato la completezza della storia, ogni singola frase era un capolavoro di satira.
Con affetto, Rebecca West
A INGRID BERGMAN, 10 MARZO 1953
Cara sig.ra Bergman, La ringrazio per la sua lettera, a cui risponderò onestamente. Non sono rimasta male per il fallimento di un progetto che rappresentava per entrambi un viaggio di prova. Ma tutta l’esperienza mi ha turbato. Mi era stato chiesto di scrivere i dialoghi per un film basato su un romanzo importante, Duo, di una scrittrice importante, Colette. Invece mi sono ritrovata a lavorare su una storia ridicola, che sarebbe stato impossibile sviluppare in maniera tale da non avere ripercussioni sulla sua reputazione. Capisco che siate innamorata di vostro marito, ma dovreste accettare il fatto che non possiede il minimo talento. Lei, invece, ha un gran talento e una grande personalità, ed è assurdo che in nome dei suoi sentimenti permetta a questi doni di essere sprecati per un film come Europa ’51, talmente assurdo che neanche la sua recitazione può salvarlo. Penserà che sono una donna odiosa. Ma quando suo marito avrà girato altri due film con lei, ripensi a questa lettera, e prenda in considerazione di mettersi nelle mani di un regista competente. Non ho mai scritto una lettera così assurda in tutta la mia vita. Ma non ho mai neanche assistito a una situazione così straordinaria come il suicidio della sua carriera artistica.
Con affetto, Rebecca West
©2000 BY BONNIE KIME SCOTT & THE ESTATE OF DAME REBECCA WEST / TRADUZIONE DI THOMAS FAZI