Corriere della Sera, 27 gennaio 2019
Zoologia fantastica
Sono stati cibo, richiami mitologici, elementi della natura. E come tali gli animali sono sempre stati ritratti. Ma sono stati, in passato come oggi, anche parte della quotidianità. Animali da compagnia o, ci spingeremmo a dire oggi, membri «non umani» delle famiglie. Concetto sicuramente inusuale nel Rinascimento e nei secoli immediatamente successivi, quelli lungo cui si dipana la mostra di Palazzo Martinengo. Ma che certo iniziava ad affacciarsi in alcune menti illuminate.
L’immagine icona della rassegna, il Vecchio col carlino di Giacomo Ceruti, ne è un esempio. I due protagonisti del dipinto hanno la stessa importanza e la stessa dignità, entrambi in primo piano, fieri l’uno dell’altro. La barba ben pettinata del vecchio fa pendant con il pelo curato del cagnolino; la mano dell’anziano tiene amorevolmente la zampa del quattrozampe, che si richiude con fiducia sull’arto del padrone. Il pennello di Ceruti ci riporta l’immagine di un carlino più cane di quanto lo sia oggi, con la canna nasale ancora evidente e un muso meno brachicefalo di quello che secoli di selezione hanno portato ad assomigliare sempre più a quello di un bambino, peraltro con gravi problemi per la salute del cane. Tra i due, è quello del carlino lo sguardo che guarda «dritto in camera» in una sorta di posa social ante litteram.
Diversi giochi di sguardi si possono individuare anche nella prima sala, dedicata all’arte religiosa. Quelli del babbuino, di un cane e di n gatto nell’Entrata degli animali nell’Arca di Noè del Grechetto, più interessati a noi che alla passerella che li conduce alla salvezza. O quello ammiccante di due cavalli, quello di San Giorgio e il drago di Melchiorre Gherardi e quello della Visione di Sant’Eustachio di Giuseppe Cesari, che come accorgendosi della nostra presenza, si disinteressano del resto che accade loro attorno. Gli animali ci guardano, come diciamo spesso anche oggi.
Conoscenza
Cresciuti con «Quark» e altri documentari, crediamo di sapere molto di loro, e invece
Lungo il percorso scopriamo animali che rappresentano divinità, animali trattati con i guanti e animali decisamente mal-trattati, come il chihuahua agghindato da principessina nella Venere e Cupido di Pietro Liberi, o il micio del Giocare con il gatto a fare la mamma, di Giuseppe Bonito, che già nel titolo descrive la violenza che gli si fa. Non sembra a proprio agio anche il cane del Ritratto di bambino con bracco di Domenico Fiasella, perlomeno a noi che al binomio bambino-bracco non possiamo fare a meno di associare Charlie Brown e Snoopy in rapporto di parità.
I ragazzini che abbiano seguito in tv le lezioni di educazione cinofila di Simone Dalla Valle o Angelo Vaira si stupirebbero della reazione terrorizzata del venditore di vino al cospetto di due cani il cui linguaggio del corpo indica invece serenità e amicizia. Non li sorprenderebbe invece il «gatto con la bilancia» che affianca il pescivendolo di Eberhard Keilhau, avvezzi come sono all’immagine del gatto con gli stivali (forse più quello di Shrek che non l’originale dell’antica favola).
Quella di Palazzo Martinengo non è solo una mostra d’arte, è in parallelo anche una lezione di etologia ed ecologia. Le tavole a cura del Wwf che raccontano di specie a rischio estinzione e bracconaggio si contrappongono alle scene bucoliche e di caccia dei dipinti. Noi della generazione Quark, cresciuti con i documentari di Piero Angela e David Attenborough, sappiamo molto degli animali. Ma anche sapendo molto, ci sono cose che noi stessi conosciamo poco. Per esempio il livello di rischio per biodiversità ed ecosistemi a cui siamo arrivati. Anche l’arte ci può aiutare a prenderne coscienza.