Corriere della Sera, 27 gennaio 2019
I feroci delitti del Brabante e un arresto 37 anni dopo
Il gigante, il vecchio e l’assassino. Così li hanno soprannominati. Non potevano fare diversamente: non conoscevano e non conoscono le vere identità della banda. La gang del Brabante-Vallone, la regione belga violata delle loro incursioni dall’82 all’85. Furti, rapine, assalti con 28 vittime, d’ogni età, compresi dei bambini. Bersagli inermi di killer che indossavano, a volte, maschere da porcellino o da clown e impugnavano bocche da fuoco devastanti. Un massacro rimasto senza colpevoli, odio e ferocia che hanno spinto a considerare scenari infiniti in atmosfere da anni di piombo, tra attentati e gli omicidi della Uno bianca bolognese. Eventi lontani ma sempre vicini. Pronti a tornare con le loro ombre.
Ed è ciò che accaduto nelle ultime settimane con l’arresto di un ex agente, Philippe V. Lo hanno fermato perché pensano sappia qualcosa. È il novembre dell’86, grazie ad una segnalazione i sommozzatori recuperano in canale un sacco di plastica, all’interno del materiale che sarebbe stato usato dai criminali nel loro ultimo colpo. Può essere uno sviluppo che ne nasconde un altro. I sub erano già stati in quel punto, un anno prima, e non avevano rinvenuto nulla e inoltre gli oggetti non sembrano essere stati nell’acqua per molto tempo. Qualcuno ha gettato le «prove» per poi farle recuperare? Da qui l’indagine ha virato su Philippe, forse all’origine dell’intera operazione: nasconde i reperti (o sa chi lo ha fatto), poi organizza la loro scoperta. Un altro intrigo sul lungo sentiero.
Nelle carte dell’indagine c’è la sequenza terrificante. Nei primi giorni di gennaio dell’82 i killer paiono costruire il loro arsenale impossessandosi di alcune armi, fucili e pistole che dovranno servire per lanciare gli attacchi. Ammazzano titolari di locali, tassisti, gente comune, una guardia. Quindi allargano il target e prendono di mira la catena di supermercati Delhaize, dove cercano denaro e falciano degli innocenti. È qui che nasce il mito nero del «gigante»e dei suoi complici, ritratti in schematici identikit della Scientifica. In un episodio un agente spara più volte contro i fuggitivi, è quasi certo di aver ferito un bandito dalla stazza fisica possente. Nelle scorrerie spunta di frequente una Golf. Dettagli da verbale, suggestioni investigative, poco però che possa portare ad una svolta, ma che lascia praterie per le ipotesi.
Una prima teoria è scontata: sono dei predoni psicopatici che si accontentano, però, di bottini modesti. La seconda è inquietante: ad agire sarebbe un gruppo di estrema destra. La terza è una variante della precedente: sono membri della sicurezza che alimentano la strategia della tensione, un piano legato alle tensioni della guerra fredda. Da qui le illazioni su «complotti» destabilizzanti, progetti di golpe. C’è chi, invece, si concentra sulla società Delhaize, colpita più volte e immagina un ricatto accompagnato da una punizione indiscriminata. Magari affidata – dicono – ai sicari di Cosa nostra, ingaggiati per un affare andato a male che ha coinvolto la compagnia.
Come per altri casi famosi arrivano le testimonianze raccolte sul letto di morte. Nell’ottobre del 2017 un uomo afferma che il fratello agonizzante – un ex gendarme di un corpo d’elite deceduto nel 2015 – gli ha confessato: «Ero io il gigante». Gli inquirenti fanno delle verifiche visto che il poliziotto, noto per le sue posizioni estremiste, era già nel file dell’indagine. L’esito è negativo, «al 99% non c’entra nulla», affermano i magistrati. E ripartono con il setaccio dove resta ancora uno «sbirro», Philippe V, e il ritrovamento postumo della sacca.