Corriere della Sera, 27 gennaio 2019
La politica che nega la realtà dei numeri
L’economia italiana sta rallentando? E quanto? La recessione ormai è un’eventualità probabile dato che a frenare sono i mercati di sbocco delle nostre esportazioni sulle quali si è fondata la miniripresa degli anni scorsi. Anche il Fondo Monetario Internazionale, tramite il suo direttore, Christine Lagarde e la nuova capo-economista, Gita Gopinath (collega a Harvard di uno di noi), ha espresso preoccupazioni sull’Italia, riportate con tono un po’ esagerato dai nostri media. Ciò che meraviglia è il dibattito, se così si può chiamare, che ne è seguito. In tanti – per esempio Matteo Salvini, che ha perso una buona occasione per stare zitto – si sono scagliati contro il Fondo monetario. Il Fmi è sicuramente un’istituzione imperfetta, che ha fatto molti errori, recentemente in Grecia. Ma nonostante errori e ritardi è riuscita ad attenuare gli effetti di varie crisi. Con le banche centrali degli Stati Uniti, la Bce, la Banca d’Inghilterra e quella giapponese (anch’esse imperfette, certo) ha fatto sì che la crisi finanziaria del 2008 non si tramutasse in un’altra grande depressione stile 1929, quando la disoccupazione arrivò al 30 per cento, gli Stati Uniti persero oltre un terzo del loro Pil e l’Europa fece solo un poco meglio. Quando la Banca d’Italia ha reso noto che il suo modello prevedeva un rallentamento della nostra economia, la reazione, questa volta dell’altro vicepremier Luigi Di Maio, è stata quella di definire l’istituto inaffidabile, addirittura accusandolo di complicità politica con gli avversari del governo.
Q uesta è un’accusa gravissima che nega decenni di storia di indipendenza di via Nazionale, un’istituzione anch’essa imperfetta ma una delle migliori di cui l’Italia si può vantare. Quando, il 31 gennaio, l’Istat (l’Istituto nazionale di statistica) riporterà dati non positivi, sarà anch’esso definito complice dell’opposizione? Minare la credibilità delle istituzioni è una strada pericolosissima.
La verità è che queste previsioni derivano da modelli econometrici (cioè statistici) con centinaia di equazioni, che basandosi sull’evidenza del passato prevedono come evolverà l’economia nel futuro. Previsioni a 2-3 anni spesso non sono un granché attendibili, ma quelle a 6 o 12 mesi lo sono. Ciò è vero soprattutto in periodi relativamente calmi, cioè non caratterizzati da grandi shock inattesi, ad esempio una guerra, una catastrofe naturale o una crisi finanziaria stile 2008, che gli economisti (anche loro imperfetti, noi in primis) non compresero in tempo.
Ovviamente ciò che prevedono i modelli dipende da come sono formulati. Ma ormai questi modelli sono tutti rela tivamente simili nella loro impostazione, con specificità che dipendono dalle caratteristiche del Paese studiato. Sono modelli «neo-keynesiani», cioè che incorporano molte delle intuizioni di Keynes, integrate da ciò che la ricerca economica ha imparato negli 80 anni successivi alla scomparsa del grande economista inglese. Tutti questi modelli – quello del Fondo monetario, dell’Ocse, della Banca d’Italia, ma anche di centri-studi privati prestigiosi, come Prometeia – prevedono andamenti molto simili per l’econom ia italiana, anzi alcuni con numeri un po’ più pessimistici di quelli della Banca d’Italia. Anche il governo ha un suo modello, gestito dal dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia, che produce previsioni analoghe. Forse sono anche loro complici dell’opposizione? Possibile, visti i furiosi attacchi contro i tecnici del Tesoro, quando producevano previsioni non incoraggianti sugli effetti delle proposte del governo gialloverde.
Se la recessione arriverà vedremo salire sul banco degli imputati la Germania, la Bce, la finanza internazionale. Sentiremo ripetere che l’aumento dei tassi di interesse prodotto dagli annunci del governo (poi realizzati solo in parte) non c’entra. Sentiremo ripetere che la recessione non ha nulla a che vedere con i comportamenti e le scelte di politica economica di questi ultimi mesi, con lo spread che hanno prodotto. La recessione sarà evitata o attenuata solo se le imprese che esportano e guardano all’estero riusciranno ancora a tenere a galla la nostra economia come hanno fatto in questi ultimi due-tre anni. Ma in questo caso ci diranno che il merito è del reddito di cittadinanza, di quota 100 e di avere ritardato o abolito la Tav. I cittadini si meriterebbero una politica che affronta la realtà invece di negarla.