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 2019  gennaio 27 Domenica calendario

John Turturro all’Opera. Intervista

Attore, regista, appassionato di musica napoletana, italiano per origini e sensibilità. A John Turturro l’esperienza nel mondo dell’Opera mancava e oggi si dice soddisfatto di averla colmata. Rigoletto, l’opera di Verdi di cui ha curato la regia in un allestimento nato lo scorso ottobre a Palermo, arriva il 6 febbraio al Regio di Torino con il baritono Carlos Álvarez nel ruolo del titolo e la direzione dell’orchestra affidata a Renato Palumbo. 
Non è la sola avventura italiana di Turturro. A breve lo vedremo in Rai ne Il nome della rosa, dall’omonimo libro di Umberto Eco. Diretta da Giacomo Battiato la miniserie ha un cast di eccezione, con Turturro nei panni di Guglielmo da Baskerville (il ruolo che nel famoso film di Jean-Jacques Annaud del 1986 ricopriva Sean Connery), Rupert Everett in quelli di Bernardo Gui, il giovane Damian Hardung in quelli di Adso insieme a una manciata di attori italiani tra i quali Greta Scarano, Fabrizio Bentivoglio, Alessio Boni. 
Come descriverebbe la sua esperienza da regista d’Opera?
«Molto diversa. Nel cinema il 75 per cento di quello che fa un regista è scegliere il cast. Nell’opera questo non è possibile, il direttore d’orchestra viene prima di tutti, i talenti sono selezionati da altri, il tuo controllo su tutto il processo è limitato. Non che io sia uno ossessionato con l’essere in controllo, o forse sì, un po’, ma è sicuramente un’esperienza diversa».
Di «Rigoletto» esistono versioni ambientate nella Las Vegas degli Anni 50, come altre ancora più contemporanee. È stato tentato da una cosa simile?
«No, perché questa è la mia prima esperienza nell’opera e volevo essere rispettoso del materiale di Verdi. Non volevo nulla di troppo barocco o sopra le righe, volevo distillare le cose il più possibile, renderlo elegante e preciso, e lasciar parlare la storia. Ho lavorato molto bene con i miei due assistenti alla regia e con lo scenografo, si è deciso di portare la storia all’inizio del 1800, all’epoca di Casanova, un periodo decadente per definizione, che però non stravolge troppo l’originale. Fosse stato per me forse lo avrei spogliato ancora di più, avrei usato un approccio alla Peter Brook, ma sono molto contento del risultato». 
Qual è il nucleo tematico di Rigoletto per lei? La vendetta? L’amore tra padre e figlia? L’abuso di potere?
«Per me Rigoletto è prima di tutto un padre, e come tanti uomini ha due facce, una quando sta a casa e una quando è nel mondo. È una dualità tipicamente maschile. Ci sono momenti di musica, come il duetto tra Gilda e Rigoletto, dopo che la trova al palazzo del Duca, che sono semplicemente fantastici. Verdi sapeva cosa significava perdere una moglie e una figlia, e quindi ha un’esperienza che viene da dentro. L’altro momento, il quartetto nell’ultimo atto, è davvero un capolavoro sia dal punto di vista musicale che drammaturgico».
Presto la vedremo nei panni di Guglielmo da Baskerville nella serie «Il nome della rosa».
«Non ho mai visto il film, non conoscevo il libro, l’ho letto solo dopo quando stavo per accettare il progetto, anzi ho detto di sì con la promessa che nella sceneggiatura ci fosse molto più Umberto Eco. Non mi interessava solo l’aspetto dell’indagine sui delitti, volevo che dentro ci fosse la teologia, la filosofia, la religione, la scienza. Credo che il libro sia ancora più rilevante oggi di quando è stato pubblicato dal momento che viviamo tempi di rifiuto della conoscenza e della cultura, e di paura nei confronti della satira e delle donne. Penso che tutto quello che sta succedendo nel mondo riguardo all’immigrazione sia figlio della paura e della chiusura mentale, vedo molti contatti con il libro. La sua ricchezza è impossibile da trasportare nelle due ore di un film, noi avendo più tempo abbiamo provato ad andare un po’ più in profondità, ad avvicinarci alla sensibilità di Eco. Ho parlato di recente con suo figlio e so che lui è soddisfatto del risultato». 
Prossimi progetti?
«Sto lavorando a un film in cui Giuseppe Verdi è centrale. Per farlo ho studiato l’Otello. Non è un’opera lirica, ma ne usa alcuni elementi strutturali. È la storia di una famiglia ambientata ai giorni nostri, ma la musica di Verdi è ovunque».
Una vera immersione nella cultura italiana.
«Di recente ho anche letto i libri di Elena Ferrante e ne sono rimasto soggiogato. Ho visto la serie, niente male, è cresciuta molto con l’andare delle puntate e il cast era eccezionale. Mi considero un fan».