La Stampa, 27 gennaio 2019
Italia, vent’anni di crescita zero
Ora che la crescita economica è di nuovo in pausa in Italia, come quasi certamente confermerà l’Istat giovedì prossimo, si guarda indietro e ci si chiede quando sia cominciato tutto questo. Il prodotto interno lordo del nostro Paese è oggi circa allo stesso livello a cui si trovava vent’anni fa; da vent’anni stiamo fermi.
Il rapporto
Colpa dell’euro, che ha festeggiato appunto i suoi vent’anni? No, perché la fermata è cominciata ancora prima. Uno studio della Banca d’Italia sfuggito ai più guarda non al Pil, cifra riassuntiva dell’economia nazionale, ma al reddito disponibile reale delle famiglie, più vicino al reale tenore di vita della gente. Qui la fermata risale a parecchio prima: al 1992.
Da oltre un quarto di secolo il benessere medio degli italiani non aumenta. Abbiamo perduto l’arco di tempo che in passato si usava chiamare una generazione. I guai sono cominciati dalla prima crisi debitoria, ovvero dalla prima volta che lo Stato italiano si trovò a rischio di bancarotta (la seconda, più recente, è del novembre 2011).
Il meccanismo della crescita si era già inceppato prima dell’euro. I primi anni dell’unione monetaria lo avevano anzi lievemente ravvivato, seppur assai meno che in Spagna e Irlanda. Poi la grande crisi finanziaria ci ha colpito più di tutti gli altri.
Il boom economico
Tornando al prodotto lordo, fra il 1950 e il 1992 in Italia il suo ammontare per persona si era addirittura quintuplicato, con un tasso di crescita medio del 4% annuo, uno dei migliori rispetto a Paesi simili. Successivamente, dal 1993 al 2007 la crescita è fortemente rallentata, all’1,5% medio annuo, e dal plotone di testa dei Paesi avanzati siamo passati alla retroguardia.
Già allora ci si interrogava su un possibile declino. La grande crisi, nel suo duplice aspetto di finanza globale e di debito dei Paesi euro, ha peggiorato ancora le cose, spazzando via i guadagni già modesti degli anni precedenti. A tutt’oggi, come si sa, solo Italia e Grecia non hanno ritrovato ancora il livello di prodotto lordo di prima della crisi.
Guardando al reddito disponibile delle famiglie per l’appunto i dati sono ancora più deprimenti. L’Italia è «l’unico importante Paese avanzato dove negli ultimi vent’anni si è verificata una diminuzione» di questa misura del tenore di vita, scrivono i tre autori della ricerca della Banca d’Italia, Andrea Brandolini, Romina Gambacorta e Alfonso Rosolia.
Consumi e risparmi
Dunque «lo spartiacque simbolico» di questo mutamento delle sorti economiche degli italiani va collocato più indietro, secondo i tre. Non è stato percepito subito perché nei primi anni le famiglie sono riuscite ad accrescere i consumi risparmiando di meno. L’euro, con i bassi tassi di interesse, ha casomai spinto a indebitarsi per comprare casa.
Le fasi di austerità
Quella prima fase di austerità, nel 1993, servì a rimettere in sesto i conti dello Stato. La seconda fase di austerità, nel 2012, anch’essa seguente a un rischio di insolvenza pubblica, non ha potuto che intaccare gravemente i consumi pur se il tasso di risparmio è ulteriormente diminuito. Decisamente non giova gonfiare il debito fino a trovarsi sull’orlo dell’abisso.