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 2019  gennaio 27 Domenica calendario

Il Brasile ha paura delle sue miniere

Ancora un disastro ambientale sconvolge il Brasile. Un bacino artificiale creato per contenere i residui di una miniera di ferro nello Stato di Minas Gerais, di proprietà della compagnia Vale, ha ceduto rompendo una dopo l’altra tre dighe, che si sono a loro volte spezzate trascinando a valle dodici milioni di metri cubi di materiali. La montagna di fango ha travolto gli uffici amministrativi della ditta e la mensa proprio all’ora di pranzo, per poi cadere sul villaggio vicino distruggendo tutto quanto trovava sul suo cammino. Il numero di dispersi è ancora incerto; secondo i pompieri, che da giovedì lavorano sul posto, dovrebbero essere scomparse tra le duecento e trecento persone tra i dipendenti della società e abitanti delle zone limitrofe, ufficialmente i morti a ieri erano 34. Si fanno continui controlli sulla lista dei lavoratori presenti nel momento del disastro, incrociandoli con le denuncie di scomparsa presentate dai famigliari. Precedente drammaticoUn copione pressoché identico all’incidente avvenuto a Mariana, sempre nello Stato di Minas Gerais, il 5 novembre 2015. Allora i morti furono 19, ma le conseguenze ambientali ben più pesanti, considerando che il volume totale dei detriti era cinque volte superiore a quello attuale. Allora l’intero ecosistema del fiume Sao Francisco, uno dei più importanti del Brasile e che sbocca nell’Oceano Atlantico, fu severamente danneggiato causando perdite economiche in un’area con 5 milioni di abitanti. Un disastro che rischia di rimanere impunito: l’inchiesta aperta dalla magistratura è lenta a causa dei continui ricorsi presentati dalla compagnia. Ma non solo, da allora poco o nulla è stato fatto per migliorare la tutela dell’ambiente e la messa in sicurezza delle oltre 400 dighe esistenti nella zona. Secondo le Ong ambientaliste, da sempre contrarie alle miniere a cielo aperto, almeno un centinaio di queste rappresenta un pericolo per l’ambiente e la popolazione. Greenpeace e la sezione brasiliana del Wwf le definiscono delle bombe a cielo aperto, pronte ad esplodere in ogni momento. La Vale è la seconda società più importante del Brasile, seconda solo alla compagnia petrolifera Petrobras. Privatizzata da vent’anni, è diventata un colosso mondiale dei minerali, presente in tutto il mondo. Le sue azioni, crollate nei mercati internazionali dopo quest’ultima tragedia, valgono da sole il 10% di tutta la Borsa di San Paolo. 
I detriti e la digaIl presidente Jair Bolsonaro, rientrato venerdì Davos, ha preferito non nominare la Vale, parlando genericamente di un disastro causato dalla «rottura delle dighe di un’impresa privata». Ieri si è recato sul posto e ha istituito un doppio gabinetto di crisi per coordinare le operazioni di ricerca di sopravissuti e le conseguenze ambientali. I detriti hanno invaso il letto del fiume Paraoperas e dovrebbero fermarsi oggi, quando arriveranno davanti ad una grande diga posta a 220 km di distanza dal luogo dell’incidente. I giudici dello Stato del Minas Gerais hanno bloccato preventivamente circa un miliardo di euro nei conti della Vale, promettendo un’indagine rapida per accertare cause e responsabilità. Da Brasilia la procuratrice generale Dodge ha detto che questa volta la giustizia non potrà essere lenta o accondiscendente con gli interessi dei privati, rassicurazioni che non convincono i rappresentanti del «Mab», il movimento dei cittadini danneggiati dalle dighe, nato 10 anni fa proprio per assistere legalmente la popolazione colpita dalle conseguenze dell’attività mineraria. 
L’inquinamentoIn un territorio continuamente perforato, ogni mese si registrano incidenti ambientali, con l’inquinamento costante di fiume e laghi. I minerali sono croce e delizia di Minas Gerais (il nome significa «miniere generali») fin dai tempi dell’impero portoghese; oro, argento, ferro e altri metalli preziosi vengono scavati senza sosta da 300 anni, dando da lavorare a decine di migliaia di persone e nessuno sembra disposto a bloccare il sistema. Neanche quando la montagna colpita si ribella, portandosi via centinaia di vite umane.