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 2019  gennaio 27 Domenica calendario

«Io, talpa pentita della Lega»

Ho perso il lavoro. Sono stato minacciato. E il ministro dell’Interno Matteo Salvini mi ha abbandonato”. Pietro Gallo è l’agente della sicurezza a bordo della Vos Hestia – la nave utilizzata da Save The Children per i soccorsi – che nell’ottobre 2016 fa partire le indagini della procura di Trapani sulle Ong. Le sue dichiarazioni sono state ritenute attendibili. La procura ha indagato 20 persone, tra comandanti delle navi e volontari delle ong Jugend Rettet, Save the Children e Medici senza frontiere. È l’unica inchiesta sulle Ong rimasta in piedi. Le altre sono state archiviate. L’accusa: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La procura ha sempre precisato: gli eventuali reati sono avvenuti esclusivamente per salvare vite umane.
Gallo, lei prima di denunciare alla squadra mobile, il 14 ottobre 2016, ha contattato qualcun altro?
Sì. Inviammo una mail ai servizi segreti, ad Alessandro Di Battista – che non rispose – e chiamammo la segreteria di Matteo Salvini. Io e la mia collega fummo richiamati da Salvini pochi minuti dopo, mentre passeggiavamo sul lungomare di Trapani. Il ministro le disse che ci avrebbe raggiunti anche subito, ma gli spiegammo che stavamo per imbarcarci, così ci diede il numero di un suo collaboratore. Con un accordo: avrei inviato alla mia collega fotografie e informazioni utili che lei, a sua volta, avrebbe girato al collaboratore di Salvini. Così fu.
Cosa chiedevate in cambio?
Nulla. Però, quando la collega incontrò Salvini a Milano con il suo staff, spiegò che rischiavamo di perdere il lavoro, perché ci avrebbero ritenuto delle spie. La collega mi riferì d’essere stata rassicurata: le dissero di non preoccuparsi.
Come ha inteso questa rassicurazione?
Se avessi perso il lavoro, avrei ricevuto un aiuto a trovarne un altro. Infatti l’ho perso. Non ho mai chiesto nulla. Però, ho ricevuto delle minacce, collegate alle mie denunce sulle Ong, e quando l’ho fatto presente allo staff del ministro non ho ricevuto neanche una telefonata di solidarietà.
Che tipo di minacce?
Un proiettile in una busta. E un foglio con su scritto “1800 morti nel Mediterraneo” e accanto il mio nome e quello di Salvini.
Torniamo al 2016: perché informavate lo staff di Salvini di quel che accadeva nel Mediterraneo? E ancor prima di denunciare?
Volevamo che le anomalie che vedevamo nei soccorsi entrassero nel dibattito politico. Supponevo che presentasse delle interrogazioni parlamentari o denunciasse, affinché qualcuno avviasse le indagini.
È quello che fece?
Non mi risulta.
Fu lui a chiedervi di denunciare alla squadra mobile?
No. Fu una nostra iniziativa.
Ma allora a cosa serviva informarlo?
Francamente, a questo punto non lo so.
I suoi telefoni sono stati sequestrati dalla procura di Trapani, i suoi messaggi dalla Vos Hestia sono entrati nel fascicolo d’indagine. Il 22 ottobre, mentre lei è a bordo, la sua collega le scrive: “sarebbe stato utile avere la registrazione di qualcuno di Save the Children che ammette che fanno tutto per pubblicità…”. Che vuol dire?
La collega mi chiedeva di registrare qualcuno di Save the Children che dicesse quelle parole.
Per conto di chi?
Di Salvini o della Lega.
E lei che ha fatto?
Ho registrato qualche conversazione e l’ho girata alla mia collega. Ma non dicevano quel che si aspettavano.
Lei si rende conto che era una sorta di “infiltrato” a bordo per conto della Lega?
Certo.
Perché l’ha fatto? 
Mi aspettavo che denunciassero in procura o almeno pubblicamente.
In queste ore Salvini intende denunciare la ong Sea Watch per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: lei ritiene che, con le informazioni che inviavate al suo staff, all’epoca, avrebbe potuto fare lo stesso?
Sì.
Salvini al Fatto, nell’agosto 2018, confermò di aver incontrato personalmente la sua collega, che definì “in gamba e coraggiosa”. E aggiunse: “Ne usai e diffusi anche le informazioni, assolutamente interessanti, purtroppo senza riscontri immediati”. 
Posso solo dire questo: in quel momento storico, aveva più informazioni in mano lui, che la procura di Trapani.
Se potesse tornare indietro lo rifarebbe?
La denuncia, sì. Le informazioni per Salvini, no.
Dica la verità: si aspettava qualcosa in cambio ed è rimasto deluso. Non faccia l’anima bella, non le crederebbe nessuno. 
Capisco che possa pensarla così. Ma la verità è diversa. Non lo rifarei perché mi sono sentito usato. E perché l’obiettivo raggiunto è l’opposto di quello che speravo.
Cosa sperava?
Che le nostre denunce, dal versante politico, portassero a una regolamentazione del ruolo delle Ong nel Mediterraneo. Non alla loro sparizione dai soccorsi. Salvini ha fatto un uso politico dell’inchiesta di Trapani. Che poi è l’unica vera inchiesta, perché le altre non hanno portato a nulla. Senza di noi non avrebbe costruito la sua campagna elettorale, il suo consenso e persino la politica estera sull’immigrazione. Siamo stati l’innesco di tutto questo. Ma il mio obiettivo non era impedire alle Ong di salvare gente in mare. Anzi.
È importante che la Sea Watch sia nel Mediterraneo? 
Certo che è importante: altrimenti questi ultimi 47 naufraghi chi li salvava? Salvini invece ha criminalizzato le Ong e creato il deserto. Quando sento che 170 persone sono morte, perché non c’era nessuno a soccorrerle, io oggi mi sento responsabile. In 8 mesi di navigazione ho contribuito a salvare 14mila persone. So di cosa stiamo parlando. Il mio obiettivo non era questo.
Lei nei suoi mesi a bordo ha assistito a contatti tra Ong e trafficanti?
No. Mai. Noi ci piazzavamo in punti dove di solito erano già avvenuti i recuperi. Ho svelato che i trafficanti accompagnavano i gommoni e davanti a noi li riportavano indietro.
E ha fatto la “spia” per conto della Lega.
Di questo oggi mi vergogno. Profondamente. Anche per l’assenza di solidarietà e gratificazione.
Qualcun altro tra voi ha avuto qualcosa in cambio dalla Lega?
No. So soltanto che qualcuno di noi ha inviato all’epoca in Regione Liguria un curriculum. Ma senza alcun risultato.