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 2019  gennaio 27 Domenica calendario

I Cinque stelle schierati con Maduro

La rivolta dei venezuelani contro il presidente Nicolas Maduro nasce dalla protesta popolare contro un regime dispotico che affama la popolazione, svuota le scuole, ha fatto tornare la malaria, è preda della corruzione e causa la più grande massa di profughi dell’America Latina.
Il protagonista di quanto sta avvenendo a Caracas non è tanto Juan Gerardo Guaidó Márquez, presidente dell’Assemblea nazionale venezuelana e leader della sfida a Maduro, quanto la rivolta di una nazione che negli Anni Settanta era fra le più prospere del Pianeta ed è stata ridotta in miseria dal chavismo. Ovvero la rivoluzione delle casacche rosse che si proponeva con il fondatore Hugo Chavez di «far coincidere cristianesimo e socialismo», ma ha generato una devastazione economica che ogni visitatore del Venezuela può vedere con i propri occhi: nei supermercati mancano latte e carta igienica, ospedali e scuole sono svuotati, la criminalità è dilagante e un fiume di disperati tenta di trovare scampo nella confinante Colombia.
Maduro è l’orgoglioso erede di Chavez, legittima il potere affermando di parlare in sogno con il predecessore e grazie alle elezioni del maggio scorso viziate da irregolarità tali da spingere la maggioranza dei Paesi latinoamericani a considerarlo un appestato.
Il tutto con il sostegno di ciò che resta del castrismo cubano, delle forniture di armi iraniane, dell’«amicizia fraterna» della Turchia di Erdogan e dei contractors della Russia di Putin a cui Maduro ha promesso l’isola di La Orchila come base per i bombardieri nucleari nei Caraibi. Nulla da sorprendersi se gli oltre 140 mila italiani residenti in Venezuela stanno inondando il nostro Paese di richieste di aiuto, spesso drammatiche, chiedendo al governo di Roma di unirsi a Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Brasile nel riconoscere Guaidó o almeno di affiancarsi a Francia e Germania nel mettere alle strette ciò che resta del regime di Maduro. Tanto più che l’Unione Europea segue le capitali dell’Occidente e recapita a Maduro una sorta di ultimatum: elezioni libere o riconosceremo Guaidó.
Ma a Roma prevalgono le ambiguità davanti alla rivolta popolare venezuelana. Dietro tale imbarazzante tentennamento ci sono i legami fra il Movimento Cinque Stelle ed il chavismo: testimoniati da visite a Caracas, omaggi alla tomba del despota scomparso, testi parlamentari e una raffica di dichiarazioni, come quelle che Luigi Di Maio fece nel 2017 indicando nell’«Alleanza bolivariana» – che include Venezuela e Cuba – un possibile mediatore nella guerra civile libica. L’attrazione dei grillini per il chavismo svela il tallone d’Achille ideologico di un movimento che confonde la protesta sociale con l’ostilità alla democrazia rappresentativa. È lo stesso errore che fece Chavez: eletto presidente nel 1998 con una piattaforma anti-corruzione ed anti-povertà sfruttò quel mandato popolare non per migliorare la vita dei cittadini ma per demolire le istituzioni democratiche e l’economia nazionale a vantaggio di un proprio clan, realizzando una decrescita imponente che, quando morì nel 2013, aveva letteralmente devastato il Paese.
La sollevazione popolare contro Maduro offre dunque ai Cinque Stelle, divenuti forza di governo, la possibilità di emanciparsi dall’impronta chavista dimostrando di saper correggere un vizio ideologico di nascita. Farlo, affiancandosi alle grandi democrazie dell’Occidente, dimostrerebbe pragmatismo, maturazione politica e capacità di distinguere fra libertà e dispotismo. In caso contrario invece i Cinque Stelle rischiano di assumersi la responsabilità di un ulteriore allontanamento dell’Italia da partner Ue ed alleati atlantici su un terreno non indifferente: la sfida ai dittatori.