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 2019  gennaio 26 Sabato calendario

Il nuovo caso Sea Watch, spiegato

Per l’ottavo giorno consecutivo, 47 migranti soccorsi di fronte alle coste libiche sono a bordo della nave Sea Watch 3 della ong tedesca Sea Watch, senza avere un porto sicuro dove sbarcare. Da ieri la nave si trova a poco più di un miglio dalla città di Siracusa: il governo ha autorizzato la sua entrata in acque territoriali italiane a causa delle cattive condizioni del tempo, ma non le ha affidato un “porto sicuro” dove attraccare. Negli ultimi giorni alcuni esponenti del governo italiano, tra cui Luigi Di Maio, hanno ribadito che i porti italiani sono chiusi alle ong (nei fatti è vero, formalmente però no) e hanno accusato la Sea Watch 3 di non avere rispettato «la legge del mare», raccontando però una versione dei fatti che non sembra corrispondere alla realtà.

Quello della Sea Watch 3 è l’ennesimo caso di navi bloccate nel Mediterraneo a causa del rifiuto dell’Italia, e di altri paesi europei, di farsi carico dello sbarco e dell’accoglienza dei migranti a bordo.

La Sea Watch 3, battente bandiera olandese, ha soccorso i 47 migranti tra cui 8 minori non accompagnati sabato della scorsa settimana, rispondendo alle richieste di intervento arrivate da Alarm Phone, un call center informale gestito dalla ong Watchformed, e da Moonbird, l’aereo della ong Humanitarian Pilots Initiative che sorvola il Mediterraneo centrale per segnalare eventuali imbarcazioni in difficoltà.

Abbiamo appena concluso il soccorso di 47 persone da un gommone in distress.

Questa mattina @alarm_phone e #Moonbird avevano informato la nave e le autorità competenti di un possibile caso; #SeaWatch si è recata sul posto e li ha soccorsi.

Ora sono tutti a bordo, al sicuro. pic.twitter.com/p5spvCCvir

— Sea-Watch Italy (@SeaWatchItaly) January 19, 2019

Il 19 gennaio, il giorno del soccorso, la Sea Watch 3 scrisse di avere informato dell’operazione tutte le autorità competenti, o perlomeno di averci provato: «non siamo riusciti a raggiungere la cosiddetta Guardia costiera libica. Siamo ora in attesa di ulteriori istruzioni». “Cosiddetta” perché la Guardia costiera libica è da tempo oggetto delle critiche e dei dubbi di analisti, ong e agenzie dell’ONU. Nonostante negli ultimi anni sia stata ampiamente finanziata dal governo italiano, diverse inchieste giornalistiche e indagini indipendenti hanno mostrato come sia formata da miliziani e trafficanti di esseri umani che alimentano gli stessi flussi migratori e le stesse sistematiche violazioni dei diritti umani che l’Europa vorrebbe fermare.

Il giorno dopo, il 20 gennaio, la Sea Watch 3 ha pubblicato l’immagine di una email inviata dal capitano della nave e dal campo della missione all’Itmrcc, il Centro nazionale italiano del coordinamento del soccorso marittimo della Guardia costiera di Roma, ovvero il centro di riferimento italiano per il soccorso in mare. Nella email, l’equipaggio della Sea Watch 3 diceva di avere scritto e di avere provato a chiamare sia la Guardia costiera libica che le autorità olandesi, senza però ricevere risposta. Sottolineava inoltre come il 5 gennaio il portavoce della Guardia costiera libica avesse detto che la «Libia non è pronta a ricevere migranti illegali non soccorsi dalla sua Guardia costiera». La Sea Watch 3 ribadiva che la responsabilità di indicare un “porto sicuro” – cioè un porto dove sbarcare i migranti, come prevede il diritto internazionale – fosse delle autorità a terra e non della nave che presta i soccorsi.

Mentre #Moonbird sorvola l’area SAR alla ricerca di eventuali imbarcazioni in distress, #SeaWatch 3 rimane senza un coordinamento e in attesa di indicazioni.

Riportiamo di seguito la comunicazione dalla nave