Corriere della Sera, 26 gennaio 2019
Freccero, l’imitatore
Non era Marco Castoldi, in arte Morgan, quel signore che giovedì sera ha raccontato i Queen, prima della messa in onda dello storico concerto di Montreal del 1981. No, non era Morgan, era il direttore di Rai2 Carlo Freccero, con baffi e un’appariscente parrucca.
Dopo l’exploit della presentazione di Ultimo Tango a Parigi (gli ultimi reduci del Circolo Calamandrei di Savona si rimbalzano ancora le ominose parole di presentazione: «Una storia di amore e morte nella Parigi malinconica e decadente degli anni 70»), Freccero ha deciso di freccerizzare la rete. Daniele Luttazzi non andrà mai in onda; in onda ci sarà Freccero travestito da Luttazzi. Anche per la presentazione del concerto di De André al Brancaccio Freccero si trasformerà in Dori Ghezzi. La gente che lo incontra ogni mattina, quando il direttore lascia il Residence Prati per raggiungere Viale Mazzini, s’intimorisce al suo passaggio sentendolo sempre ripetere che l’umano è nell’imitazione. Freccero ha fatto della «sindrome Zelig» la sua forza stupefacente: è il potere del simulacro e il simulacro è il luogo dove l’assenza soggioga. Ieri situazionista, oggi sovranista: replica il mondo e al tempo stesso lo assoggetta alla furia combinatoria. Carlo Freccero assume le sembianze delle persone con cui entra in contatto: a pranzo con Di Battista spiega a Di Battista come essere Di Battista; con il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano parla il sangiulianese; al presidente Foa spiega come si fabbricano notizie al servizio dei governi ed elogia Putin.
Quando frequentava Boncompagni, cui presto renderà omaggio travestendosi da Boncompagni, era in buona compagnia. Con i carcerati sostiene di essere prigioniero, con gli euroscettici di essere uno scettico blu. Un anno senza stipendio («Non sono pagato, ma mi ripagherò con le risate che mi regaleranno gli Anzaldi»), un anno da cigno nero. Sarà un anno stupendo.