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 2019  gennaio 26 Sabato calendario

Intervista a Guaidó: «Farò scendere il popolo in piazza»

L’invito arriva quasi clandestino, con un messaggio su WhatsApp: «Ci vediamo alle undici nella Plaza Bolivar di Chacao. È prevista la presenza del presidente incaricato Juan Guaidó». La preghiera è di non divulgare troppo l’appuntamento, per evitare che la polizia del regime si metta di traverso, magari arrestando il rivale di Maduro. Quando arrivo, però, la piazza storica dell’opposizione venezuelana è già piena di deputati e sostenitori del trentacinquenne che sta cercando di cambiare la storia del paese. Uno alza questo cartello: «Guaidó non si è autoproclamato. L’ho proclamato io», come a dire il popolo sfinito. 
Lui arriva un’ora in ritardo, ed è l’unico ad indossare giacca e cravatta, in questa mattinata tropicale bollente. Vestito grigio, camicia bianca, cravatta blu fantasia, un filo di barba sul mento. Sembra uno studente che ha appena discusso la sua tesi in ingegneria alla Universidad Católica Andrés Bello, l’ateneo gesuita dove si è laureato come tanti altri leader dell’opposizione, ma invece è un ragazzo che è stato costretto dagli eventi a diventare adulto molto in fretta. In mezza giornata, per la precisione, quando il 23 gennaio scorso ha giurato come presidente incaricato del Venezuela.
La prima cosa che fa è chiedere di osservare un minuto di silenzio, «per le vittime della repressione». Quindi parla quasi un’ora senza fermarsi, per preparare i militanti alle sfide decisive della settimana prossima. A quel punto si rivolge al gruppo di giornalisti che ha invitato, facendoci chiamare uno ad uno per nome, allo scopo di spiegare la svolta epocale che secondo lui è cominciata, e sarà inarrestabile: «Se al Palazzo Miraflores pensano che ci stancheremo, si sbagliano di grosso. La gente viene con noi nelle strade perché non ce la fa più. Non è una questione ideologica, ma una vera emergenza umanitaria». 
Perché ha ritenuto di potersi proclamare presidente?
«L’elezione di Maduro è illegittima, perché il voto dell’anno scorso ha violato le regole della democrazia. Come presidente dell’Assemblea Nazionale, unico organo dello stato davvero eletto liberamente dai nostri cittadini, la Costituzione mi dà il diritto di assumere la carica di presidente ad interim, per convocare entro trenta giorni nuove elezioni legali».
Maduro dice che lei sta cercando di fare un golpe.
«Stiamo parlando dell’usurpartore che ha messo in prigione i suoi avversari politici, da Leopoldo Lopez ad Antonio Ledezma, per non accennare nemmeno alle decine di persone uccise durante le manifestazioni pacifiche e disarmate dei mesi scorsi. Ma anche se volessimo trascurare tutti questi elementi, il fatto indiscutibile è che il regime ha fallito, perché non riesce più nemmeno a pagare i suoi conti, in un paese che avrebbe risorse straordinarie».
Il ministro della Difesa Padrino López si è schierato con Maduro. Come pensate di superare l’opposizione delle forze armate?
«Noi sappiamo bene cosa sta succedendo all’interno della famiglia militare, dove la maggioranza dei soldati la pensa come noi. Ai loro capi chiediamo di rispettare questa volontà popolare, e non prestarsi alla repressione. Pensiamo di poterli convincere sulla base della prospettiva di democrazia e prosperità che intendiamo costruire».
Poi però ci sono i collettivi. Anche se riusciste a convincere i militari, non rischiereste di provocare una guerra civile tra i soldati e queste formazioni?
«I collettivi sono forze paramilitari armate dal regime, ma anche loro hanno famiglie che vivono nella nostra società. La situazione ormai è diventata insostenibile per tutti, e credo che la nostra prospettiva sia l’unica possibile anche per loro».
Offrirete l’amnistia?
«É sempre stata sul tavolo, in tutte queste situazioni. Anche in altri paesi dell’America latina che hanno attraversato transizioni simili. Il nostro obiettivo è un pacifico ritorno alla democrazia e alla libertà, non la vendetta».
Anche con i militari che hanno gestito la repressione?
«Sì. Chi deve andare via, però, sono i cubani che hanno infiltrato le nostre forze armate e il nostro apparato statale, per insegnare le tecniche repressive di L’Avana. Se vogliono, possono restare in Venezuela, ma fuori dai centri del potere».
Qual è il vostro piano adesso?
«Una transizione basata su tre punti: fine del governo usurpante, formazione di un esecutivo ad interim, e convocazione di nuove elezioni».
Ma nell’immediato?
«Sabato (cioè oggi, ndr.) organizzeremo una serie di assemblee popolari in tutti i comuni del paese, per comunicare bene cosa stiamo facendo. Domenica invece andremo in piccoli gruppi, senza numeri enormi, a trovare i militari che conosciamo per mostrare loro la Ley de Amnistía, che li proteggerà da qualsiasi ritorsione. Poi la settimana prossima, in un luogo e un giorno che annunceremo presto, torneremo in piazza, per una grande manifestazione con cui esigeremo l’uscita di scena dell’usurpatore».
Quella sarà la sfida frontale al regime?
«Una delle tante. Non ci fermeremo fino a quando non accetteranno la transizione».
Domani scade anche l’ultimatum che Maduro ha dato agli americani per abbandonare la loro ambasciata di Caracas. C’è chi teme che se non lo faranno, dopo il suo invito a restare, il regime potrebbe attaccare la sede diplomatica, provocando lo scontro militare con Washington.
«Io ho parlato con i diplomatici americani. Li ho invitati a restare, e rifiutare le minacce dell’usurpatore».
Washington sta considerando di congelare i capitali venezuelani all’estero e bloccare le importazioni di petrolio, togliendo le principali risorse economiche a Caracas. Come giudica la svolta decisa dal presidente Trump?
«É stata molto importante, ma non dobbiamo dimenticare tutti i paesi che mi hanno riconosciuto come presidente. In sostanza il mondo libero si è schierato contro la dittatura. È molto utile poi che gli Usa abbiano stanziato aiuti umanitari per 20 milioni di dollari. Ho chiesto anche ad altri governi di offrire una simile assistenza al nostro popolo». 
Lei ha parlato con il presidente del Parlamento europeo Tajani che le ha dato il suo appoggio, ma l’Unione europea e l’Italia sono state molto più tiepide. Cosa potrebbero fare, per aiutare una transizione pacifica?
«L’appoggio della comunità internazionale è molto importante, perché qui si tratta non solo di ristabilire lo stato di diritto, ma il rispetto più basilare dei diritti umani. L’Unione europea, con l’Italia al suo interno che ha avuto un ruolo molto importante nella storia del Venezuela, è un baluardo di questi principi. Abbiamo bisogno del loro appoggio perché ci dà fiducia e legittimità. La Ue potrebbe rappresentare un’istanza fondamentale, se il regime non accettasse la transizione, sollevando con la sua autorità la questione dei diritti umani in Venezuela davanti alle corti internazionali». 
Lei si è laureato in una università gesuita. Cosa potrebbero fare il Vaticano e Papa Francesco, che conosce molto bene le dinamiche dell’America Latina, per evitare che la crisi precipiti?
«Noi speriamo di sentire presto un pronunciamento del Papa».
Maduro ha detto di essere disposto ad incontrarla.
«Quando la repressione non ottiene risultati, si trasforma in un falso dialogo. Il regime deve sapere che non intendo prestarmi al gioco».
È convinto di poter vincere questa sfida frontale?
«Da quando ho giurato, in Venezuela ci sono state 53 manifestazioni di appoggio. Non c’è dubbio da quale parte stia il popolo».