la Repubblica, 26 gennaio 2019
Quello spicchio di pizza che fa tanto New York
NEW YORK La pizza, a New York, può essere motivo di enormi contrasti. Tant’è che uno dei modi più prevedibili di iniziare una discussione (infinita) con qualcuno, è stabilire quale sia la miglior pizza in città. Al tempo stesso, la pizza – specialmente quella al taglio, riscaldata al momento, la fetta triangolare piegata in due – è una delle maggiori forze aggreganti della città. Non c’è esperienza culinaria più diffusa e condivisa dai newyorkesi dello spicchio di pizza al taglio. Come un tramonto sullo skyline, la pizza al taglio è un’esperienza condivisa sin dall’esordio di questi locali oltre cinquant’anni fa.
I prezzi sono cambiati nel corso dei decenni, ma lo spettacolo e lo scenario sono identici. Basta vedere la folla di newyorkesi e turisti, tutti infagottati nei giacconi invernali, un mercoledì sera al Joe’s Pizza di Carmine Street. I clienti procedono perfettamente incolonnati attraverso la porta d’ingresso fino al bancone protetto dal vetro, gli ordini pronti e i soldi già in mano. Quando le fette sono pronte, si accaparrano un posto al bancone o escono, fetta in mano, per dirigersi ovunque li porti la serata. Così si fa a New York.
La storia inizia con le enormi ondate di immigranti italiani che si stabilirono qui tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Ventesimo secolo. Nel 1920, del totale di 1.600.000 immigrati italiani residenti negli Stati Uniti, circa un quarto di loro viveva a New York dove avevano creato delle enclave a Manhattan, Brooklyn e nel Bronx. In quei quartieri nacquero le prime pizzerie, come Lombardi’s a Little Italy, fondata nel 1905. Il nome del locale era quello del proprietario, l’immigrato napoletano Gennaro Lombardi, e la pizzeria aveva un forno a carbone che produceva pizze con una crosta soffice e bruciacchiata ricoperta da uno strato di salsa di pomodoro e formaggio. Come in una discendenza biblica, via via che gli apprendisti se ne andavano e aprivano le loro pizzerie, Lombardi’s generò Totonno’s a Coney Island, John’s nel Greenwich Village e Patsy’s in quello che adesso è Spanish Harlem. Questi sono i quattro pilastri ufficiali della pizza a New York prima della guerra. Anche se nessuno di questi era un locale da pizza al taglio come lo intendiamo ora.
Frank Mastro, immigrato italiano e imprenditore, vide il potenziale di una diffusione della pizza analoga a quella dell’hot dog. Doveva solo trovare un modo di renderla più veloce e a buon mercato, sia per i ristoratori che per i clienti. E negli anni Trenta inventò un forno per la pizza alimentato a gas che manteneva la temperatura anche quando la porta veniva aperta in continuazione. Anche se è difficile individuare esattamente quando fu venduta la prima fetta di pizza, grazie all’introduzione del forno a gas combinato a più piani i newyorkesi poterono scegliere di godersi una fetta di pizza dal fondo croccante sia come pasto principale che come sostanzioso spuntino mentre giravano per la città. I titolari delle pizzerie non dovevano più imparare a usare un forno a carbone, e quindi la pizza poteva essere prodotta più velocemente e con una minore preparazione del personale. Negli anni ’ 60 ormai si assisteva al boom dei locali di pizza al taglio, e sono stati proprio questi locali ad aver trasformato la pizza da una specialità italiana a New York, a una specialità di New York: un cibo condiviso da ogni quartiere, gruppo etnico e fascia d’età. Questa proliferazione è stata anche alimentata dallo stesso fenomeno che aveva inizialmente introdotto la pizza: l’immigrazione. Negli anni ’ 60 e ’ 70 arrivarono maree di immigrati dall’Europa dell’Est, dai Caraibi e dai paesi latinoamericani: nella ricerca di un lavoro molti di loro finirono nel settore della ristorazione. John Kambouris è arrivato nel 1965, nel quartiere di Washington Heights, da un’isoletta greca quasi duecento miglia a est di Atene. «Avevo dieci dollari in tasca», ci ha raccontato da dietro il banco del Pizza Palace su Dyckman Street, di cui è proprietario dal 1979. «Dicono che gli italiani hanno portato la pizza, ma noi ci mettiamo la nostra cultura». È in centinaia di locali come il suo sparsi in tutta la città, alcuni non più grandi di un vagone della metropolitana, che si vedono i newyorkesi mangiare le loro fette fianco a fianco senza scambiarsi una parola. «Ragazzini, gente di Wall Street, senzatetto che girano per i marciapiedi col carrello della spesa, un locale di pizza al taglio è uno degli ambienti più variopinti della città», ha detto Colin Atrophy Hagendorf, autore di Slice Harvester: A Memoir in Pizza e conduttore del podcast Radio Harvester. «Dentro una pizzeria il sogno di una New York multiforme è una realtà. Meraviglioso, secondo me».
(Traduzione di Luisa Piussi ©2019 The New York Times)