la Repubblica, 26 gennaio 2019
Roger Stone, l’uomo di tutti gli scandali dal Watergate al Russiagate
Su questa pietra costruirò il mio Trump. È l’uomo che per primo incoraggiò The Donald a correre per la presidenza degli Stati Uniti, il Roger Stone (pietra, appunto) arrestato ieri in Florida dall’Fbi per ordine del procuratore speciale Robert Mueller. Con un blitz all’alba, e con le telecamere della Cnna riprendere la scena, nell’ambito di quelle indagini sul Russiagate mirate a stabilire se ci furono collusioni con la Russia durante la campagna presidenziale. Accusato di sette crimini federali, dall’ostruzione alla giustizia alla minaccia di testimoni, l’uomo che iniziò la sua “carriera” nel Watergate di Richard Nixon è stato subito rilasciato con una cauzione da 250 mila dollari. «Sono innocente, le accuse sono politicamente motivate» dice. Ma su di lui pesano i contatti via Twitter con quel Guccifer 2.0 copertura di agenti russi che hackerò i computer del Comitato democratico durante la campagna 2016 e con Wikileaks che diffuse le email rubate. E per l’accusa agì per conto di uno dei responsabili della campagna – che i giornali americani riconoscono in Steve Bannon – tentando di ottenere quei carteggi per danneggiare Hillary Clinton.
D’altronde Roger faccia di pietra come il suo cognome, 66 anni, è da quasi mezzo secolo anima nera della politica americana. Di più: «Un agente del caos» come lui stesso ama definirsi citando la celebre battuta di Joker, il cattivone di Batman. A partire dai servigi resi appunto a Nixon di cui fu collaboratore e ammiratore al punto di farsene tatuare l’effige sulla schiena.
Il più giovane repubblicano coinvolto nelle indagini del Watergate, Stone elaborò proprio per il presidente poi costretto a dimettersi il primo di quei “dirty tricks”, giochetti sporchi, che divennero la cifra del suo attivismo, sempre improntato alla pubblicità negativa. Screditando nel 1972 l’avversario di Nixon alle primarie repubblicane Pete McCloskey, col trucco di versare a nome dei “giovani socialisti” pochi dollari alla sua campagna e mandando poi la ricevuta ai giornali: determinandone l’uscita di scena.
Da allora la sua attività politica, al servizio anche di Ronald Reagan poi dei Bush, è stata tutta una sequenza di colpi bassi. Che a volte l’hanno colpito come un boomerang: come quando, tentando di screditare Bill Clinton durante la campagna di Bob Dole del 1996, emerse la sua frequentazione, con la seconda moglie, di club per scambisti.
All’epoca lavorava già per Donald Trump come consulente dei suoi casinò ad Atlantic City. Mischiando politica ed affari attraverso la Black, Manafort, Stone and Kelly creata nel 1980 per fare lobby appunto a sostegno di Reagan: dove Manafort è proprio il Paul che guiderà la campagna di Trump anche lui caduto nella rete del Russiagate. C’è da meravigliarsi se l’agenzia è diventata rapidamente ricettacolo di interessi stranieri, dal Congo di Mobutu all’Ucraina del filorusso Viktor Yanukovych?
Secondo il magazine Politico, Stone rimase folgorato da The Donald fin dal primo incontro. «È un marchio, una star, un temerario. Capace di dire e fare qualunque cosa. Ha la stoffa da presidente». E fu proprio Stone ad aiutare Trump a muovere i primi passi fuori dal mondo degli affari.
Spingendolo nel 1987 a scrivere la lettera aperta ai giornali dove il tycoon criticava la politica estera americana: prequel delle sue posizioni di oggi. E poi con speech in tutta l’America, compresa la convention repubblicana del 1988, che The Donald considerava alla stregua di un tour di promozione del suo libro appena uscito, The Art of Deal, ma che per Stone erano test del suo carisma. Tanto che se ne ricorderà dieci anni dopo sostenendo la candidatura di The Donald alla presidenza sotto la bandiera del Partito Riformista: pensando in realtà a sottrarre voti ad Al Gore. All’epoca servì soprattutto ad aprire a Trump la via della tv col reality L’Apprendista partito nel 2004. Ma quando, nel 2015 Trump, si decide a correre davvero per la Casa Bianca, e Stone è il primo a saltare a bordo è proprio la lezione imparata da lui che il candidato mette in atto. “Messaggi esagerati, sfacciati e semplici”, “Attaccare, mai difendersi”, “L’odio vince sull’amore": come insegna la Stone’s Rule, la regola di Stone (e quindi di pietra), il suo besteller. Per la campagna presidenziale Roger lavora solo un mese: poi lascia. Il motivo vero nessuno ancora lo sa. Certo è che gli resta vicino: e quel che combina è oggetto dell’indagine. Sarà il Russiagate a scriverlo nella pietra della legge?