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 2019  gennaio 25 Venerdì calendario

Intervista a Galli della Loggia sulle élite

Si fa presto a dire élite. Ernesto Galli della Loggia, storico ed editorialista del Corriere della Sera, comincia con una precisazione: “Non possiamo parlare genericamente di élite. Oggi c’è un forte scontro tra élite sociale ed élite politica, intesa come élite di governo. Fino alle ultime elezioni coincidevano: in sostanza l’élite sociale italiana si riconosceva – e continua a farlo – nel centrosinistra”.
Cosa che spiega l’attuale disorientamento di molti intellettuali e commentatori. 
Si sono ritrovati ad aver a che a fare con una nuova classe politica, dalle idee confuse e nello stesso tempo contraddittorie, per via delle due anime del governo: non soltanto erano nuovi, ma anche nuovi tra di loro diversi. Quest’insieme di fattori ha determinato un forte sconcerto da parte della classe dirigente italiana.
Secondo Alessandro Baricco invece si è rotto un patto tra chi veniva governato e chi governava. Non ci si affida e non ci si fida più.
Credo che ‘rottura di un patto’ sia un’espressione più che altro letteraria. Il fatto è che fino a qualche anno fa le economie dei Paesi occidentali segnavano indici positivi, i redditi e il Prodotto interno lordo crescevano: questa è la sostanza del patto keynesiano, cioè la sostanza delle democrazie dell’Europa occidentale fondate sull’idea che ogni anno si stava un po’ meglio. Non è più accaduto e con il passare degli anni la situazione si è deteriorata. Io non credo che ci sia stato un venir meno da parte di qualcuno al patto. È cambiato anche il profilo del capitalismo: basta pensare alla crescita del comparto finanziario al processo di deindustrializzazione che ha subìto il Paese. Sono venute meno le condizioni strutturali di fondo che nel Secondo Novecento hanno permesso uno sviluppo tranquillo della democrazia in Europa.
Miopia dei governanti?
Quel che stava succedendo, secondo me, era da tempo abbastanza chiaro se non a tutti almeno a molti. Ma nessuno è stato capace, per mancanza di idee, di progetti di visione, e aggiungo di coraggio, di correre ai ripari. Ma le classi dirigenti avrebbero proprio questo compito: averlo fallito non è cosa da poco. Per questo i cittadini hanno cominciato a interrogarsi sulle capacità e sulla legittimazione della classe dirigente: che ci stanno a fare se non sono in grado di dare risposte e trovare soluzioni? In che senso dirigono?
Sul Corriere lei ha scritto: forse è troppo parlare di ribellione delle masse, ma stiamo all’occhio. In Francia invece è esplosa una ribellione che non sembra voler finire. 
In Italia il sistema politico è più fragile e instabile. L’elezione presidenziale in Francia dà al capo dello Stato un grandissimo potere e una forte stabilità: è un potere assai poco contendibile. Per questo la protesta imbocca più facilmente la via della rivolta. Qui invece è possibile in quattro e quattr’otto diventare segretario di un partito – vedi Renzi – o addirittura fondarne uno come Grillo e vincere le elezioni.
Anche Macron ha fondato un partito. 
Vero, ma la sua ascesa presenta molti punti oscuri. Per due volte i maggiori candidati alla presidenza sono stati eliminati in maniera singolare un anno prima del voto: Strauss-Kahn e Fillon. Come mai questi scandali sono usciti alla vigilia delle elezioni, facendo vincere un candidato che altrimenti non ce l’avrebbe mai fatta?
Macron è un po’ The Manchiurian candidate? 
Fin dal primo momento mi è sembrato un candidato costruito, ideologicamente eterodiretto. Lui non era affatto nuovo della politica, è stato ministro tecnico di Hollande, è un uomo della grande finanza. Entrato in gara, il suo obiettivo era arrivare al ballottaggio con Marine Le Pen, perché con quel sistema elettorale chiunque avrebbe vinto contro di lei.
Che pensa delle parole di Juncker sulla Grecia?
Non è solo Juncker a dover fare autocritica: mentre in Grecia la gente era costretta a rovistare nei cassonetti dell’immondizia, i leader dei Paesi europei che facevano? Un popolo intero è stato messo in ginocchio, gli ospedali non avevano i farmaci per i bambini. Se una cosa del genere succede ad Haiti per un terremoto l’Europa si mobilita, manda la Croce Rossa. I greci sono stati completamente abbandonati: ma dov’erano i capi di Stato, i capi dei partiti di sinistra? Le colpe di Juncker sono quelle di tutti gli altri.
A proposito di sinistra: Gad Lerner fa risalire la rottura della connessione sentimentale alla crisi Fiat del 1980. Da allora i leader della sinistra si sono occupati più dei padroni che degli operai.
Di operai, per la verità, mi sembra che ne sono rimasti pochini. Il Pd ha perso il Sud, dove amministrava quasi tutte le regioni. Ma lì i voti non li ha persi certo per gli operai, che non ci sono. Ha influito di più l’adesione della sinistra all’ideologia liberista di Bruxelles. Questo è capitato perché non potevano più essere comunisti, non volevano diventare social-democratici e così sono diventati liberali nel modo più acritico. Molto ispirati, credo, da Giorgio Napolitano, che per anni è stato il capo della delegazione a Bruxelles e aveva un rapporto personale con i rappresentanti delle istituzioni Ue. L’europeismo è diventato egemone a sinistra a causa degli ex comunisti che non potevano più essere tali. Si sono trovati nudi di fronte alla Storia. E convinti del fatto che la socialdemocrazia è il peggio del peggio, il partito è diventato appunto ‘democratico’. E per essere democratici nell’Europa della fine del Novecento bisognava aderire alle politiche europeiste e liberiste.
Si può accorciare questa distanza tra popolo ed élite?
Se il reddito di cittadinanza si dimostra efficace e non faranno disastri, i 5Stelle governeranno l’Italia per i prossimi 15 anni: e così tutta l’élite diventerà grillina. A quel punto diremo che si è ricomposto il dissidio tra élite e popolo. Anche sul concetto di popolo bisogna essere chiari: il popolo non esiste più. Ci sono cinque milioni di poveri forse neppure altrettanti operai e sopra di loro una galassia di ceto medio che va dai piccoli artigiani ai grandi professionisti. La maggioranza degli italiani sta in questa forbice. È buffo che si parli di populismo quando manca, e non solo in Italia, il popolo.
Spieghiamolo meglio.
C’è una crisi della democrazia che significa crisi di fiducia nei meccanismi della democrazia. Una malattia che, tanto per fare un esempio, non si debella abolendo il vincolo di mandato.