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 2019  gennaio 25 Venerdì calendario

L’errore di Berlino e Parigi

Il trattato «sull’integrazione e la cooperazione franco-tedesca» firmato martedì da Macron e da Merkel in quella che per noi italiani è Aquisgrana (per i francesi invece è Aix-la-Chapelle e per i tedeschi Aachen) è un duro colpo per la costruzione europea. Né a sua giustificazione si può certo dire che esso sia e/o voglia essere una risposta all’uragano nazionalista ed antieuropeista che si sta abbattendo su tanti Paesi del continente. È difficile pensare che sia così, infatti, dal momento che esso, tra l’altro, fu annunciato dal presidente francese fin dal suo discorso alla Sorbona del 26 settembre 2017 – cioè quando l’uragano di cui sopra era ancora un vento non troppo minaccioso la cui traduzione in risultati elettorali in Italia, Svezia, Spagna, e nella stessa Germania, era ancora di là da venire. 
In realtà il significato vero del trattato non sta nei suoi articoli, che non sono davvero gran cosa. Sta nel trattato puro e semplice, nel fatto che i suoi contraenti abbiano deciso di stringerlo, e di farlo ora. Di fronte all’affollarsi di critiche all’interno dell’Unione Europea e dei conseguenti propositi di riforma della stessa, il trattato significa la riaffermazione da parte di Francia e Germania non del proprio impegno europeista, bensì della propria volontà di mantenere sulla Ue l’egemonia di fatto che entrambe da molto tempo vi esercitano (più esattamente: che vi esercita la Germania, camuffandola dietro la collaborazione della Francia che vi si presta in qualità di interessata vassalla).
C ontro i sovranismi nazionalisti veri o presunti (e quasi sempre posticci) è la riaffermazione di due sovranità nazionali autentiche. 
Non solo per questo non è un messaggio molto incoraggiante. Non lo è specialmente pensando alla politica estera, che per l’Europa sta diventando sempre di più una delle maggiori aree critiche.
Il fatto è che a dispetto dei sogni europeisti la storia non è acqua, e ama prendersi le sue vendette soprattutto a spese di quei sogni. Ed è per l’appunto la storia, il passato che non è difficile scorgere dietro il Trattato, come del resto dietro tanta parte della vicenda della Ue. In ragione del loro passato, infatti, Francia e Germania sono gli unici due Paesi dell’Unione che hanno mantenuto un’effettiva e importante proiezione geopolitica al là dei propri confini. 
Per la Francia si tratta del suo ex impero in Africa occidentale. Da sempre, in una dozzina dei Paesi sorti dalle celeri di tale impero, fa in pratica quello che vuole o pressappoco. Da sempre ne domina in mille modi l’economia, le finanze, il commercio e le risorse; vi esercita un’incontrastata egemonia socio-culturale, ne alleva le élite, ne segue strettamente l’attività di governo, spesso di fatto appoggiandone i dittatori e altrettanto spesso presidiandone militarmente il territorio (per buone o cattive ragioni non importa). In quell’area vastissima, insomma, nessuno a nessun titolo mette piede se la Francia non vuole: e la Francia non vuole quasi mai.
Per la Germania il discorso è evidentemente assai diverso. Essa non può contare su alcun ex impero bensì su una sfera d’influenza nell’Europa medesima che la sua storia e la sua potenza – in questo caso forse innanzi tutto civile e culturale, e poi economica – le hanno costruito nell’area danubiano-balcanica. Dove essa, tra l’altro, ha potuto facilmente raccogliere l’importante eredità degli antichi domini asburgici. È un’influenza che si esercita a nord fino a Tallin sulle rive del Baltico e a sud fino a Costanza sul Mar Nero ma che si irradia anche oltre, spingendosi ben dentro la pianura russa fino a Kiev, a Mosca e più a oriente. 
Da quando è crollato l’impero sovietico la Germania intrattiene rapporti economici privilegiati con questa parte d’Europa. Nella quale Cechia, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Austria, Slovenia, Croazia, Bosnia, rappresentano un folto gruppo di piccoli Stati che anche in forza dell’acquisita e giustificata diffidenza verso Mosca guardano naturalmente innanzi tutto a Berlino per riceverne manufatti, indicazioni politiche, piste culturali, investimenti. Mentre Berlino non può dimenticare che al di là dei loro confini c’è quella Russia verso la quale la sospinge un suo destino antico.
Nessun Paese nella Ue gode di situazioni geopolitiche lontanamente simili a quelle di Francia e Germania. Il Trattato di Aquisgrana – in quanto tale e con le sue clausole circa una pur generica collaborazione militare –, significa per l’appunto l’impegno tacito dei due contraenti a garantirsi la tutela delle reciproche sfere d’influenza. Il che a sua volta significa in generale che una politica estera europea non ci sarà mai e che di conseguenza ben difficilmente anche l’Unione potrà mai diventare da qui a chissà quando un vero soggetto politico.
Oggi infatti in politica estera l’Ue si trova davanti a due assolute priorità che per più versi ne minacciano la sopravvivenza: l’immigrazione dall’Africa da un lato, e la subdola pressione disgregatrice di Putin dall’altro. Ma se le cose stanno come ho detto essa allora non può realmente affrontare né l’una né l’altra. Infatti, come potrà mai l’Europa riuscire a elaborare un progetto per l’Africa nera delle migrazioni, un rapporto ampio e fattivo con essa, se la Francia insisterà a mantenere la sua indisturbata presenza egemone a sud del Sahara? Ed allo stesso modo come farà mai la medesima Europa a gestire il difficile rapporto con la Russia quando ad avere la parola decisiva in merito, a stabilire ad esempio se come e quando sanzionare Putin, dovrà essere in sostanza solo la Germania così come essa da sola e senza chiedere il parere di alcun partner europeo ha deciso del gasdotto North Stream con cui accrescerà ancor di più la sua dipendenza energetica da Mosca? 
Altrettanti interrogativi cruciali, che se l’Unione fosse un organizzazione politica «normale» avrebbero dovuto sollecitare da tempo qualche riflessione importante, qualche pubblico intervento di rilievo, innanzi tutto, mi sembra, da parte del suo commissario per la politica estera, l’onorevole Federica Mogherini: sempre che un destino malevolo non le avesse sfortunatamente tolto non si sa quando il dono della parola.