il Giornale, 25 gennaio 2019
Le case di Pietroburgo che hanno ispirato Dostoevsky
Fedor Michàjlovi Dostoevsky nasce a Mosca nel 1821 e quelli dell’infanzia sono gli unici suoi anni di felicità. Morta la madre, il padre, un ufficiale medico che, ancora bambino, gli ha fatto imparare Puskin a memoria, lo iscrive alla scuola militare di San Pietroburgo, avviandolo a una carriera per cui appare totalmente inadatto. Infatti, diventato ufficiale, abbandonerà l’esercito, per dedicarsi alla letteratura. Delle 30 case in affitto che cambia durante la sua travagliata esistenza, ben 20 si trovano in questa città, con cui, al pari di Gogol (che era nato in Poltava, Ucraina), ha un rapporto di odio e amore. Sarà la stessa San Pietroburgo, a diventare un personaggio («fantasma», o «miraggio»), una perfetta illustrazione dei suoi romanzi (dal giovanile Le Notti Bianche a Il Sosia, fino al più pietroburghese di tutti: Delitto e Castigo). Sempre senza quattrini, lo scrittore cambia spesso dimora, alla ricerca di soluzioni più economiche, senza però rinunciare ad una casa in prossimità di un incrocio e con vista su una chiesa. Sia i «formicai umani» che il rintocco delle campane, infatti, lo ispirano nell’attività letteraria e mai se ne priverebbe.
Fra queste 20 abitazioni, un posto speciale ce l’ha quella sita in via Kuznechnyj 5/2, all’incrocio con via Dostoevsky (un tempo via Yamskaya), sede del «museo Dostoevsky» di San Pietroburgo. Siamo nei pressi dell’omonima fermata della metropolitana, dove sorge pure un monumento dedicato allo scrittore; le sue finestre si affacciano invece sulla chiesa di Vladimir, tra la cattedrale di Kazan e quella di sant’Isacco. A due passi, la celebre prospettiva Nevsky, la strada più importante di Pietroburgo, che dà il nome al primo dei racconti pietroburghesi di Gogol. Sebbene ogni suo pezzetto secerna sacralità, si tratta di un’abitazione decorosa ma modesta, senza elementi architettonici di pregio, né oggetti di lusso all’interno (un cucchiaio d’argento è forse la cosa più preziosa). Fra tutte, questa casa è la più importante in quanto lo scrittore vi muore, nel 1881, dopo avervi scritto, incompiuto, I fratelli Karamazov. Vi era entrato, con la seconda moglie Anna Grigorievna e i due figli Fedya e Liuba, di nove e sette anni, i primi di ottobre del 1878 ma, in realtà c’era già stato da affittuario, per un breve periodo, nel 1846. Ne consegue che via Kuznechnyj è legata all’inizio e alla fine della vita creativa dell’autore. Il trasferimento avviene a causa della morte del figlio più giovane Lyosha, il 16 maggio 1878 per epilessia, malattia ereditata dal padre. I coniugi Dostoevsky decidono di allontanarsi, almeno fisicamente, dai troppi ricordi della casa precedente. È grazie alla vedova Anna Grigorievna, che era stata segretaria e stenografa di Fedor, se l’attuale museo riproduce fedelmente l’abitazione della famiglia Dostoevsky.
Già prima della Rivoluzione si celebra in qualche modo l’artista attraverso la sua casa dove, nel 1909, viene posta una targa sulla facciata. Nel 1906, Anna Grigorievna Dostoevskaya aveva fondato il primo museo, esponendo a Mosca le sue collezioni che, nel 1928, dopo la Rivoluzione, troveranno posto all’ex Ospedale del Povero «Marinsky», nei luoghi in cui l’autore ha trascorso l’infanzia. Nel 1911 la vedova si trasferisce a Sestroretsk, sul mar Nero e lavora alle sue memorie. Prima di lasciare San Pietroburgo, però, ha inventariato tutto quello che c’era in casa. La Rivoluzione la coglie in quel luogo di villeggiatura, dove resta confinata e muore sola, lontana da figli e nipoti.
Ai tempi del Soviet non vi è rispetto per Dostoevsky e la sua casa, che viene smembrata e frazionata in appartamenti comuni. La spiritualità dello scrittore e la sua fiducia nell’individuo sono assolutamente inconciliabili con l’ideologia sovietica. Le pressioni internazionali e quelle di coraggiosi intellettuali russi, tuttavia sono costanti. Nel 1971, per i 150 anni dalla nascita, l’Unesco celebra l’anno di Dostoevsky e le autorità sovietiche non possono fare a meno di inaugurare, nell’occasione, il Museo nella casa di Leningrado. Ricostruirla fedelmente dopo lo scempio comunista sarà possibile grazie alle foto scattate in occasione della morte e, soprattutto, ai documenti custoditi dalla vedova. Oggi questo museo è uno fra i più interessanti di Pietroburgo. Esso comprende una accuratissima sezione letteraria, in cui si spiega, attraverso la vicenda biografica, la genesi di tutte le opere dello scrittore. Vi è la beffa crudele orchestrata da Nicola I (pagata coi soldi per lo svago dello zar) il quale, nel dicembre del ’49, al fine di punirlo di presunte simpatie socialiste, inscena una finta esecuzione alla Fortezza di Pietro e Paolo, poi commutata in lavori forzati e servizio a vita nell’esercito. Dalla cronaca della sua sofferenza, nasce Memorie della casa dei Morti
A Pietroburgo, quando abita di fronte S. Isacco, nel 1860, cambierà casa anche per non vedere la statua di Nicola I, che gli han piazzato proprio davanti Scrive Umiliati e Offesi. E poi, i viaggi (deludenti) in Europa. Parigi gli appare «noiosissima», Berlino un’altra Pietroburgo. È il tempo di Delitto e Castigo, L’Idiota, I Demoni. Il pubblico Discorso su Puskin, il trionfo che lo fa acclamare come un profeta. I Fratelli Karamazov. Accanto alla sezione letteraria, alcune sale dedicate a mostre e iniziative di artisti contemporanei, perché il Museo Dostoevsky è un importante centro di aggregazione culturale. E poi c’è la casa, ricostruita con fedeltà. A mostrare il volto umano e fragile di un genio. La sala da pranzo, la scrivania con la copia stenografata dalla moglie, la stanza dei bimbi col cavalluccio di cartapesta. Le sigarette che, nonostante l’enfisema, accompagnavano costantemente il suo lavoro di scrittura e si confezionava a mano lasciandole a metà, con accanto lo scatolo del tabacco, su cui ancora si legge ciò che ha scritto a matita la piccola Liuba. «Oggi, 28 Gennaio 1881, papà è morto».